L’uomo senza la Bibbia
di Francesco Pollastri
Ci sono luoghi della storia che la nostra mente di uomini moderni non ha mai visitato. Recuperare quel passato di cui ignoriamo perfino l’esistenza permetterebbe alla nostra coscienza di appropriarsi di una profondità che la nostra stessa mente non è ancora in grado di percepire. Dopotutto è stato così nei secoli passati quando la ricerca ha aperto la storia dell’Uomo a fasi assai antecedenti a quella che aveva la percezione umana di allora.
Per secoli il testo biblico influenzò le credenze di ebrei e cristiani. Pensatori, uomini di scienza e teologi cercarono di datare la creazione del mondo e conseguentemente la comparsa dell’Uomo sulla base del dato veterotestamentario, cosicché essa risultava essere avvenuta in quello che per noi è il 5199 a.C. secondo Eusebio di Cesarea, nel 4004 a.C. secondo James Ussher, nel 3760 a.C. secondo la più accreditata tradizione rabbinica.
A partire dal ‘700 movimenti culturali incoraggiati dalle consolidate borghesie europee permisero all’uomo del tempo di mettere in discussione i dogmi biblici.
Sulla scorta dei processi scientifici in campo geologico, nella seconda metà del XVIII° secolo, John Frere (1740-1807) comprese il principio di successione stratigrafica grazie al quale fu in grado di proporre l’esistenza di specie umane in epoche assai più remote di quelle riportate nella Bibbia.
In alcuni scritti del 1759 il professore veneziano Giovanni Arduino aveva proposto una divisione geologica delle rocce in quattro ordini: Primario, Secondario, Terziario, Quaternario.
La definizione Quaternario, l’ultima era geologica attualmente in corso, fu ripresa dal francese Jules Pierre François Stanislaus Desnoyers nel 1829 e Charles Lyell nel suo lavoro in tre volumi “Principles of geology” del 1830-33, coniò il termine Pleistocene per definire la più antica fase del Quaternario.
Jacques Boucher de Crèvecœur de Perthes (1788-1868), primo tra tutti, fu così in grado di far risalire la presenza umana già al Pleistocene anche se le sue teorie furono ignorate se non apertamente osteggiate con tentativi di ridicolizzarle.
Ad ogni modo si andarono lentamente facendo spazio nella coscienza storica moderna profondità fino ad allora impensate.
La graduale scoperta di una storia dell’Uomo precedente alla scrittura che affondava le sue radici decine di millenni addietro, la lenta presa di coscienza dei processi culturali e sociali che trasformarono una cultura seminomade di cacciatori-raccoglitori in una società agricola strutturata cambiò la visione che l’essere umano aveva del proprio passato e quindi di sé.
Christian Jurgensen Thomsen (1788-1865), archeologo danese, propose di dividere la preistoria in tre periodi tecnologici, “Three Age System”, in cui furono utilizzati strumenti in pietra, bronzo e ferro. Dal 1816 al 1865 fu il primo curatore del Museo delle antichità nordiche, divenuto in seguito “Museo Nazionale di Copenaghen”. La sistemazione della collezione del Museo costituì un esempio pratico del suo sistema di suddivisione che è tutt’ora quello su cui si basa la nostra cronologia.
Nel corso del XIX° secolo l’attenzione dell’archeologia tornò a concentrarsi su quella regione che aveva visto svolgersi le vicende narrate nella Bibbia. Furono due i fattori che consentirono la nascita dell’archeologia vicino orientale: l’aumento del peso politico di Francia e Inghilterra nei territori sotto il controllo ottomano e il retroterra culturale degli europei ancora suscettibile al richiamo biblico.
Le scoperte archeologiche del francese Paul-Emile Botta a Khorsabad e dell’inglese Austen Henry Layard a Nimrud avvenute negli anni ’40 portarono alla luce le maestose testimonianze degli antichi imperi, soprattutto quello assiro. L’arrivo dei rilievi e delle enormi statue al Louvre e al British Museum fecero si che le testimonianze di quell’antica regione fossero accessibili anche al vasto pubblico europeo.
Da allora una vasta schiera di archeologi, paletnologi, filologi, storici, architetti, e in tempi più recenti antropologi, storici delle religioni, paleobotanici, chimici hanno contribuito a delineare un quadro sempre più complesso e preciso dell’ambiente, della società, dei fenomeni culturali che hanno modellato il percorso dell’Uomo dalla più remota preistoria a partire dall’Africa passando per gli sviluppi prodotti nel Vicino Oriente, nel Mediterraneo e nel resto d’Europa e che ci hanno reso quello che siamo.
Ogni nuovo tassello che si è aggiunto a questo quadro a partire da allora ha fornito risposte attendibili, quantunque perfezionabili, al perché le cose sono come le vediamo. Anche chi ritiene che la conoscenza del passato sia un esercizio noioso e inutile è sottoposto esso stesso ai processi frutto di questa evoluzione, gli subisce senza sapere che esistono.
Conoscere i meccanismi che muovono le cose ci permette di comprendere, migliorare, riparare i danni.
Un notevole apporto alla comprensione della storia dell’Uomo è quello che ha visto coinvolta la psicologia con lo studio simbolico dell’espressioni materiali e immateriali umane e negli ultimi decenni l’apporto delle neuroscienze.
In che momento del suo percorso l’uomo ha astratto un concetto partendo dall’osservazione del mondo che lo circondava? Quando la trasmissione della conoscenza è diventata così fondamentale da dover costringere la mente a creare le prime manifestazioni figurate che hanno portato alla scrittura? Perché la nostra specie ha dalle sue origini avvertito la necessità di spostarsi e occupare nuovi spazi? Che significato davano i nostri più remoti predecessori alle divinità femminili raffigurate nelle statuette preistoriche trovate in Europa e nel Vicino Oriente? Perché il Dio di cristiani ed ebrei è un Dio-Padre e non una Dea-Madre? Quando è nata l’idea di anima? In che momento il capo di una comunità ha iniziato ad assumere i connotati ed il ruolo di re? Quando sono nate le gerarchie?
Le domande potrebbero essere infinite e le risposte potrebbero celarsi in qualsiasi piega della storia; nello scavo protostorico davanti al centro commerciale vicino casa vostra, potrebbero saltare fuori dai lavori di archeologia preventiva in occasione della costruzione di una nuova strada, magari quella che voi percorrerete nei prossimi anni ignorando, oppure arrivare dal lavoro di una missione archeologica in qualche remota regione del pianeta.
Quello che è successo là, ventimila o duemila anni fa, qui come altrove, potrebbe aver cambiato il modo stesso di pensare, aver condizionato gli stessi processi della nostra mente, quella che ognuno di noi usa.
Non crediamo forse al Paradiso perché l’idea del figlio di un artigiano palestinese duemila anni fa si è diffusa nel Mediterraneo fino all’Italia e poi nel resto d’Europa? Non cresciamo tutti convinti nell’esistenza dell’anima gemella perché qualche pensatore dell’antica Grecia e poi del ‘700 tedesco non ha supposto che esista? Non compriamo l’uovo di Pasqua perché nella religione pagana orientale l’uovo era simbolo di rinascita?
I più tra noi lo ignorano ma tutto ciò che ci appartiene, tutto quello in cui crediamo, ci è stato lasciato da chi c’è stato prima di noi. Teorie, risposte, convinzioni di qualunque tipo ci dominano, spesso inadeguate ci pongono di fronte a ideali irrealizzabili e per questo causa di sofferenze e frustrazioni.
Ed allora andiamo a cercare le risposte dove sono, celate dietro le pitture paleolitiche di Altamira e Lascaux, nelle linee pure del tumulo megalitico di Newgrange, tra le arcane facciate scolpite delle tombe etrusche di Sovana, sotto il mare di pietre di Umm el-rasas in Giordania.
L’unico modo per sapere è diventare consapevoli, l’unico modo per diventare consapevoli è conoscere, l’unico modo di conoscere è vedere.
Francesco Pollastri