L’eredità negata dei Cananei
di F. Pollastri
Nel territori definiti molto tempo dopo come “Terra Santa”, accanto alle organizzate città-stato cananee, ai villaggi di agricoltori e allevatori sedentari, prosperavano numerosi gruppi di pastori nomadi, sia semiti che amorrei, che si muovevano ai margini delle terre fertili, ma anche nelle zone montane dove le coltivazioni non erano arrivate. Questi pastori nomadi si riunivano a volte in bande che praticavano il brigantaggio, saccheggiando i villaggi indifesi. In molti casi i re cananei si alleavano a questi predoni per utilizzarli contro le città vicine durante le guerre di confine.
Nei testi egizi e nei testi cananei si nominano alcuni di queste organizzazioni tribali (tribù legate da vincoli di parentela), una di queste è descritta con il nome di Hapiru. Alcuni studiosi ritengono che gli Hapiru fossero il nucleo originario da cui ebbero origine gli Ebrei (anche se sicuramente fino a questo momento non avevano abbracciato il monoteismo).
Intorno al 1200 a.C. in tutto il Vicino Oriente e nel Mediterraneo orientale cominciarono a nascere dei problemi a causa dei movimenti migratori di alcuni popoli. I testi egizi li chiamano “Popoli del mare” perché raggiunsero l’Egitto via mare, ma sappiamo che la maggior parte di questi popoli si spostava via terra. I “Popoli del mare” provenivano da nord, forse dalla Grecia. La civiltà micenea greca fu la prima ad essere distrutta e mano a mano che queste genti avanzavano distrussero tutte le civiltà che incontrarono, compresa la civiltà cananea.
Intorno al 1150 a.C. la “Terra di Canaan” era stata completamente devastata e la maggior parte delle città rasa al suolo. Probabilmente a questi predoni del mare si erano uniti anche i pastori nomadi, Hapiru compresi, e i contadini oppressi dalle tasse che i re facevano loro pagare riducendoli in miseria.
L’invasione fu certamente possibile perché fu favorita da rivolte interne agli stessi stati.
L’unica civiltà dell’Età del Bronzo che sopravvisse fu quella egizia, il faraone Ramses III respinse ben due invasioni nel delta del Nilo ma non riuscì a riprendere il controllo della “Terra di Canaan”.
In tutto il Vicino Oriente inizia un periodo difficile, le città non vennero ricostruite immediatamente e i popoli nomadi che prima avevano vissuto ai margini delle terre fertili ora ne presero possesso. In qualche caso tornarono ad abitare le rovine delle città utilizzandone i resti per edificare villaggi di modeste dimensioni.
Uno dei popoli del mare, detti Filistei, intorno al 1150 a.C. si insediò nella zona meridionale dell’attuale stato di Israele, fondando una lega di cinque città, la “Pentapoli filistea” (Ascalona, Gaza, Ashdod, Ekron, Gat), simile per organizzazione a quelle cananee. Il nome Palestina, un adattamento latino, proviene dal nome dei Filistei. Tutt’oggi in arabo (una lingua semita) Palestina si pronuncia Falaistin, la Filistea appunto. Nel nord di Israele, ad est del lago di Tiberiade nacquero staterelli costituiti dalle tribù aramaiche, nelle zone centrali del paese, Samaria e piana di Yizre’el (la pianura dove si trova Megiddo) lentamente si ricostituirono formazioni cittadine ad opera di popoli che sono la summa delle genti cananee sopravvissute unite ai nuovi arrivati. Intorno al 1100 a.C. a Samaria e a Megiddo furono ricostruite le mura e sorsero nuovi palazzi simili a quelli del Bronzo Tardo. Lungo la costa, da Dor fino a Byblos (nord del Libano) i cananei dettero vita alla cultura fenicia. I Fenici sono infatti la naturale prosecuzione nell’Età del Ferro dei Cananei.
I popoli nomadi considerati israeliti si insediarono principalmente in Giudea, gruppi sparsi erano diffusi nelle altre regioni.
Nota – Come vedete dalla cartina, ripresa da un sito internet, nei media di divulgazione storica che trattano della formazione del popolo ebraico si tende a dare un’importanza spropositata al ruolo avuto dalle tribù israelite. Le fonti materiali smentiscono il quadro delineato nell’Antico Testamento.
Le tribù israelite (non ancora monoteiste) costituirono formazioni territoriali, piuttosto marginali, organizzate intorno a piccoli villaggi che commerciavano con i centri cananei e filistei vicini. Tra il 1150 e il 1000 a.C. sembra piuttosto che l’elemento dominante in Palestina fosse rappresentato dalla cultura filistea. La ceramica è un indicatore etnico, cioè a motivo delle forme e delle decorazioni i popoli si distinguevano rispetto agli altri. Ceramica identificativa di altri popoli veniva importata quando si riteneva che fosse un segno di prestigio possederla. Culture “inferiori” importano ceramica di popoli che in quel momento sono considerati portatori di una cultura “dominante”. A seguito di queste considerazioni è facile trarre le conclusioni dal fatto che la ceramica filistea è stata trovata nella maggior parte dei centri della Giudea fino a Megiddo.
Tra il 1150 e il 1000 a.C. deve essere arrivato a compimento il processo di sedentarizzazione di quei popoli nomadi, tra cui probabilmente gli Hapiru, che si erano riversati nella “Terra di Canaan” sconvolta dalle invasioni dei “Popoli del mare” e dalle rivolte interne.
Tuttavia, intorno al 950 a.C., quando sarebbero vissuti i re Davide e Salomone, non si trova traccia dell’esistenza di questo regno. I nomi di Davide e Salomone non sono mai menzionati da nessun archivio di palazzo del periodo. Sembra che nessun re, dall’Assiria all’Egitto, fosse a conoscenza della loro esistenza, né dell’esistenza di un regno di religione giudaica-monoteista in Palestina. La totale mancanza di documentazione può significare una sola cosa, che il testo biblico non ha un riscontro nei fatti.
Sicuramente questo è il periodo della rifioritura cananea, in città come a Samaria si innalzano templi agli dei, principalmente a Baal. La civiltà fenicia allaccia stretti rapporti con la “Pentapoli filistea” e i naviganti fenici fondano colonie da Cipro fino all’Italia (ad es. Cartagine 850 a.C.). Ceramica fenicia si diffonde in Galilea fino a Megiddo, ma anche a Samaria.
Questo quadro contrasta fortemente con la presenza di un “grande regno” giudaico.
Certo è che a partire dall’ 800 a.C., circa, si iniziano a trovare frammenti di iscrizioni in ebraico (una scrittura che peraltro deriva dall’antico cananaico).
La potenza assira in ascesa iniziò a riscuotere tributi dalla Siria e Palestina intorno al 850 a.C. e conquistò questi territori con la forza nel 747 a.C.
Per quanto riguarda la religione ebraica ancora fino al 600 a.C. si praticava una sorta di politeismo. Nelle regioni presumibilmente abitate dal popolo ebraico non si trovano edifici religiosi che sia possibile definire “ebraici”, quelli che sono stati individuati sono templi di derivazione assira come in tutto il Vicino Oriente.
Una manifestazione religiosa autonoma è rappresentata dagli altari a cielo aperto. Si tratta di “recinti sacri” all’interno dei quali si trovava un altare su cui venivano poggiate le offerte.
All’interno di queste strutture si trovavano le immagini delle divinità. Vi si adorava principalmente Yahweh ma anche una divinità femminile, probabilmente Ashera, e in misura minore altri geni e divinità.
Nel 587 a.C. il re babilonese Nabucodonosor conquista la Giudea e distrugge Gerusalemme deportando gli ebrei a Babilonia.
La cultura ebraica e la loro religione erano state tramandate fino a quel momento per via orale. Durante il loro “soggiorno” in Babilonia i capi religiosi ebraici devono aver avuto la possibilità di accedere al ricco patrimonio mitologico scritto appartenuto alle culture mesopotamiche.
E’ sicuramente in questo periodo che avvennero due fatti importanti: gli ebrei vennero a contatto con lo Zoroastrismo, una religione monoteista di origine persiana (dalla Persia, attuale Iran) e iniziarono a compilare l’Antico Testamento.
La conseguenza di ciò è che per molti miti biblici è possibile risalire all’originale sumero-babilonese (es. Genesi, diluvio universale).
Da questo momento gli ebrei divennero monoteisti ed è probabilmente per motivi di legittimazione etnica che costruiscono la Bibbia secondo un modello di ascesa e vittoria del dio unico sugli dei e della vittoria del popolo ebraico sui popoli pagani che prima di loro abitavano la “terra promessa”.
La storia tramandata oralmente viene scritta non per motivi storiografici quanto per scopi autocelebrativi.
Il romanzo di Francesco Pollastri
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