L’incontro tra Turusha e Rasenna, le origini mesopotamiche della scienza dei fulmini e del culto di Atunis
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La sacra “scienza” di predire il futuro, osservando il fegato delle vittime o il volo degli uccelli giungeva probabilmente agli Etruschi dal mondo mesopotamico.
Gli antichi testi babilonesi mostrano regole d’interpretazione minuziosissime e a volte stupefacentemente simili a quelle etrusche. L’interpretazione dei fulmini costituisce una delle forme più caratteristiche della “scienza” etrusca. Come in Mesopotamia presso i Caldei, anche gli Etruschi esaminavano i fulmini per i loro vaticini. L’interpretazione dipendeva dalla regione celeste da cui provenivano e dal luogo del terreno dove cadevano; dal periodo dell’anno, mese e giorno in cui l’evento si verificava; dall’aspetto, colore ed effetto. Furono gli Etruschi dunque ad introdurre in Europa queste pratiche religiose e quindi, scavalcando la Grecia, trasmetterle ai romani.
Raffigurazioni di celebrazioni funerarie in una tomba di Tarquinia.
A proposito di religione riordiamo che a Gravisca, il porto di Tarquinia (Porto Clementino), tra le numerose divinità come Afrodite (l’etrusca Turan) Hera (l’etrusca Uni), Demetra (l’etrusca Vei), Apollo (l’etrusco Aplu) è attestato anche il rarissimo culto di origine orientale di Adone (l’etrusco Atunis), connesso al mondo della vegetazione.
Anche nell’architettura degli stessi templi s’intravede una matrice orientale. In un rilievo assiro dell’VIII secolo a.C. da Khorsabad, è raffigurato un edificio sacro su un alto podio e quattro colonne sotto il timpano: tale edificio appare proprio un predecessore dell’architettura, assolutamente non greca, dei templi dell’Etruria.
Ricostruzione di un tempi etrusco (da canino.info)
A conti fatti, il concetto dell’«arrivo» degli Etruschi potrebbe essere ricondotto agli ultimi secoli del II millennio a.C.
In quel tempo comparvero nel Mediterraneo popolazioni ricordate dalle fonti egizie e ittite che potrebbero, durante le loro incursioni, esser giunte anche in Etruria: i bellicosi “Popoli del Mare”, i Tursha o Turusha, di matrice indoeuropea, non anatolici ma caucasici, probabili portatori di elementi culturali propri della successiva cultura Villanoviana; e popolazioni dell’Arzawa, forse gli anatolici Rasenna, non indoeuropei e probabili portatori dell’essenza fonetica della lingua etrusca.
Gli spostamenti di tali gruppi etnici potrebbero esser messi in relazione anche a complessi avvenimenti storici e geologi riguardanti l’area egea, come la guerra di Troia e l’esplosione del vulcano di Santorini, avvenuti ambedue negli ultimi secoli del II millennio a.C.
Sembra insomma che, per comprendere l’origine della classe “culturalmente dominante” degli etruschi, sia necessario confrontarsi senza timori con questa complessità, valutandone le diverse componenti e le ipotesi ancora possibili.
Tra tutte una, in quanto toscani, ci è forse più cara: che insieme ai Rasenna siano giunti uno o più vitigni originari dell’oriente? Che si possa tracciare una linea di continuità tra il fascino del vino Chianti e il medio-oriente, così come è stato fatto per il nome stesso «chianti»?
(continua)