(continua)
Il mio corpo psichico è vagamente ustionato, ma la mia vita è autentica. Questo penso a volte.
Specialmente le volte in cui mi capacito che, proprio quando tutto intorno sembra chiaro, ultimo, definitivo, allora è vitale mantenere un dialogo aperto con l’in-dialogico, portare avanti un discorso attorno alla più calda, limpida e generale «possibilità».
Per decadi abbiamo arato quel territorio che s’interpone tra io, inteso come immagine autonoma-coerente, e cosciente inteso come flusso indipendente, strategico e spesso eretico innanzi ai suoi io stessi. Non perdoneremo mai l’umanità per aver lasciato che, negli ultimi anni, certe “brutte cose” accadessero con tale inquietante semplicità. Ma non dobbiamo perderci nei piaceri del rancore, quanto ricordarci di tornare al nostro campo dove, tra l’altro, anche questo stesso piacere può divenire un fatto identitario.
Ciò che si semina nel campo è una sorta di «fuoco».
Oggi una moltitudine di fattori spingono a scegliere la strada della cronologia mentre sempre meno invogliano ad una speciale fuoriuscita dall’attualità o per lo meno dal suo “peggio”. Nonostante l’evidente sbilanciamento, molto ancora nella nostra percezione dell’esistenza si gioca nell’ambito di tale rapporto.
Non ci sono avanzamenti senza un’elusione del tempo; e non s’incontra un nulla senza un’indigestione di avvenimenti.
L’impasse che stiamo vivendo in questi anni potrebbe dipendere dal fatto che l’eccesso di cronologia ha determinato una sorta di oblio, un vizioso circolamento di carni e di idee che dà l’illusione d’esser fertile ricettacolo di possibili quando invece è stato tutto scritto, determinato e ultimato da un bel po’, nel dramma della letteralizzazione del progetto.
La povera anima (che tutti abbiamo) tende quindi ad avvicinarvisi, a crederci, e ci rimane impantanata come una zanzara sulla colla.
Da qui la necessità di creare degli io cavia, o meglio dei surrogati di io, da gettare in pasto all’obl-io perchè la povera anima, che vive tra i vivi il richiamo della materia e che per indole confonde l’attualità con l’attualizzazione, sia doppiamente illusa e quindi sedata, mentre di sfondo la coscienza continua la sua danza con il fuoco (nella terra di mezzo o la radura).
Si può dire che questo impasse, come la “risposta” appena offerta, celino un atavico retaggio “borghese”: la necessità di tener vive le consuetudini della cronologia eroico-patriarcale, l’organizzare le masserizie intorno alla luce dell’io, determinare insomma delle stazioni, dei megaron orbitali da cui lanciarsi in nuovi rischi, consapevoli di aver comunque il seder parato (almeno per ampi tratti…).
Ma d’altronde guidare un surrogato di io non è cosa semplicissima e il primo dramma sta nei momenti (molti) in cui si rischia di dimenticarsi di aver a che fare con un surrogato. Allora siamo vittime della nostra stessa tensione, reazionaria, contro l’oblio stesso. E di esso diveniamo audace quintessenza. E forse c’è nevrosi.
Un buon uso del surrogato di io, dovrebbe sfruttarlo per attirare tutte le negatività dell’oblio attraversando i tour forzati dei networks dominanti, per poi, ormai sfinito come un fantoccio bruciato negli antichi carnevali, rendergli onorevole simbolica sepoltura (surrogati o no, si parla comunque del solito complesso della mummia…).
Si dice che più surrogati di io, se ben utilizzati, possano persino abbattere piccoli sistemi-oblio, facendoli inabissare nel reale e quindi tornare ad un’ipotetica dignità…
Così, all’anima stessa del circolo oblìico, alias certo marketing e le sue strategie, si risponde con una teoria di de-strategizzazioni che renda pian piano sempre più spazio al cosciente, estinguendo l’immagine-io o parte delle sue energie…quanto basta per ri-aprirsi un po’…
Molte cose, insomma, si possono fare sfruttando quel terreno fertile tra mere convenienze e pregnanti fallimentarietà, cioè tra i due estremi del duale suddetto.
Si dice ad esempio che quella cosa che chiamiamo «cultura», di cui tanti si riempion la bocca ma pochi s’interrogano su cosa sia realmente…si rigenerebbe proprio lì. In quel campo intermedio che è fertile di un «fuoco» possibile.
Al contempo è interessante notare come, queste contraddizioni umane (che contrapposero in passato eroi e eremiti), si installino oggi nell’oblio del più specifico duale tra realtà pensata e realtà digitalizzata, la cui verità, come abbiamo visto tempo fa, è spesso di per sé inconsistente.
Tuttavia, anche oggi, districarsi da certo “tempo” resta, esistenzialente parlando, una delle poche avventure possibili poiché desta il baratro producendo fuoco, scuote la fallimentarietà producendo immagini.
Su questi «fuochi», qui non si smetterà di scrivere.
(EF II/7/16)