Florentia o Flumentia. Incertezze etimologiche e genealogia identitaria
di Siyana Nikolova Martcheva
È maggio.
Fioriscono i giaggioli nel giardino dell’Iris sotto piazzale Michelangelo. L’Iris Pallida, un fiore così comune nella valle dell’Arno – scelto fin da tempo immemore per rappresentare la città di Firenze – stilizzato dà la forma all’arme cittadina. Inizialmente bianco-argento su fondo rosso vermiglio. Nelle lotte fratricide dopo l’espulsione dei maggiori esponenti del partito ghibellino (1251), i guelfi- per distinguersi- decidono la brisura dell’arme e invertono i colori, fissando la figura del giglio «per division fatto vermiglio» su un campo argenteo. L’anno seguente (1252)- il primo conio della «lega suggellata del Batista»: il fiero fiorino d’oro con lo stemma del giglio.
Sebbene simile al fleur de lys, tanto da permettere l’avanzare di ipotesi anacronistiche circa una derivazione esterofila più prestigiosa- dal giglio regale francese, il giglio tripetalo fiorentino si distingue da quest’ultimo, perché bocciolato (o “bottonato”), cioè coi pistilli, ed è considerato un’arme “parlante”- allude al significato insito nel nome della città: Fiorentia – Florentia.
Giovanni Villani nella sua Cronica ne narra la genesi:
«Distrutta la città di Fiesole, Cesare con sua oste discese al piano presso alla riva del fiume d’Arno, là dove Fiorino con sua gente era stato morto da’ Fiesolani, e in quello luogo fece cominciare ad edificare una città […]»; […]«per molti fu al cominciamento chiamata la piccola Roma. Altri l’appellavano Floria, perché Fiorino fu ivi morto, che fu il primo edificatore di quello luogo, e fu in opera d’arme e in cavalleria fiore, e in quello luogo e campi intorno- ove fu la città edificata sempre nasceano fiori e gigli. Poi la maggiore parte degli abitanti furono consenzienti di chiamarla Flora, sì come fosse in fiori edificata, cioè con molte delizie. […] Ma poi per lungo uso del volgare fu nominata Fiorenza: ciò s’interpetra spada fiorita.»
In memoria del comandante romano Fiorino, o seguendo l’ipotesi della fondazione cesariana nella primavera dell’anno 59 a.C.- durante le celebrazioni dei Floralia (Ludi Florales), o con l’intenzione di scegliere un appellativo particolarmente evocativo e benaugurante che derivi da florere – l’“essere prospera” (dunque Florentia al pari di Potentia e Valentia), e pur certo che un tal nome doni agili opportunità di creare immagini edificanti: «In quegli così pericolosi tempi, d’uomini illustri fioriva la nostra Fiorentia».
Oltre le origini che affondano nel mito civico e le derivazioni etimologiche, le virtù simboliche cristiane del giglio sono associate al culto mariano: il giglio virginale che porge l’Arcangelo Gabriele alla purissima Maria nell’Annunciazione; il bianco giglio che tiene fra le dita l’immacolata Madre di Dio e che richiama l’atto salvifico-purificatorio che suo Figlio ha compiuto per l’umanità tutta. Arricchisce la vividezza devozionale, ricordare che, fino al 1750, secondo l’uso cronologico definito “stile fiorentino”, l’anno a Firenze cominciava il 25 marzo- giorno dell’Annunciazione.
La narrazione sarebbe potuta concludersi qui, tuttavia, per l’etimologia del nome di Firenze – strettamente legato al mito delle sue origini-, la storia fra Medioevo e Rinascimento tramanda altre opzioni, apparse all’epoca quanto meno plausibili e, per alcuni, persino desiderabili e più “politicamente corrette”.
Il Mito delle origini – modulazioni identitarie
Vi è nel Medioevo un repertorio tradizionale di racconti leggendari relativi alla genesi della città di Firenze che si snoda per punti focali: dalla fondazione romana da parte di Giulio Cesare (dopo la disfatta di Fiesole) – alla distruzione da parte di Totila – a cui fa da pendant la rifondazione carolingia che, accanto alla rinnovata matrice romana in chiave cristiana, sancisce il legame privilegiato con i reali di Francia: Carlo Magno- imperatore «fece franco e libero il comune e i cittadini di Firenze».
Questi topoi narrativi sono anche alla base della ‘mitologia’ guelfa.
In tal senso, Giovanni Villani (1280-1348) sottolinea il privilegiato legame fra Roma e Firenze- «figliuola e fattura di Roma» e struttura la sua Cronica con l’intento di «fare memoria dell’origine e cominciamento di così famosa città», e di dare un «esemplo» di carattere morale esaltando le virtù dei progenitori.
Mentre i propositi moralizzanti del Villani si fondano su una tradizionale interpretazione religiosa in chiave provvidenzialistica, con qualche incursione nell’astrologia, la nuova storiografia fiorentina del primo Quattrocento si distanzia da questa tradizione cronachistica e leggendaria e mette in atto una totale ‘dislocazione dei valori’.
Raffinati conoscitori e traduttori dei classici latini e greci, gli umanisti fiorenti rifondano l’operare stesso dello storico su nuove basi: il confronto comparativo delle fonti e l’analisi critico-filologica e interpretativa. La poetica ciceroniana fornirà inoltre un nuovo metodo, basato sulla ricerca delle cause e dei nessi fra gli avvenimenti. A tali criteri fanno da contrappeso nuove prospettive poltitico-ideologiche, quali la desacralizzazione dell’impero romano e la rivendicazione del primato etrusco e della «Florentina libertas».
Così, la fondazione romana di Firenze viene fissata al tempo della Repubblica – dunque al tempo della libertas e non della tirannide cesariana. Viene inoltre ridimensionata o rigettata la tesi della totale distruzione di Totila e della successiva rifondazione carolingia, con conseguenze ideologico-politiche in relazione al “guelfismo”.
E proprio nell’ambito di questo intento di scrivere le «res gestas Florentini populi» basate su una fiera veritas che emergono nuove etimologie basate sull’interpretazione filologica di alcuni autori classici.
Flumentia o Fluentia
«Già quando Silla aveva ottenute le tante vettorie contro a’ mariani e presa la dittatura di Roma […] era scieso il popolo di Fiesole nella gran villa chiamata Flumentia. Questa villa era anticata di prima di lunghissimo tempo per uso d’un abondantissimo mercato […] che di tutto era si abbondante che intorno gli abitanti di diversi paesi vi si fornivano per rimedio d’ogni bisognio. Questa villa aveva nome Flumenzia, non meno per molti flussi d’aqque che vi correvano che per mastro fiume (l’Arno) che vi paludava. […] E per queste cosi fatte abondanze di stroscie (rivoli d’acqua) la villa si chiamo Flumenzia, che tanto viene a dire “flusso”, quanto “uscita”; poi la chiamorono Florenzia». (Giovanni Cavalcanti, Nuova Opera)
Gli umanisti della prima metà del Quattrocento individuano un primo mitico insediamento cittadino che, traendo beneficio dalla vicinanza con il fiume Arno e i suoi torrenti tributari, avrebbe originato il toponimo Fluentia o Flumentia.
Leonardo Bruni, cancelliere di Firenze, umanista di punta ed alfiere del cosiddetto umanesimo civile fiorentino, a partire da Plinio (Nat. hist. III, 5), fa derivare l’origine del toponimo Fluentia– come antico nome di Firenze, dalla collocazione della città tra i fiumi Arno e Mugnone (Historiarum Florentini populi libri XII): «Novam urbem, quod inter fluenta duo posita erat, Fluentiam primo vocitarunt, eisque incolae Fluentini dicti».
A seguire, Poggio Bracciolini, anche lui cancelliere di Firenze, (nominato nel 1453), adducendo a sua volta l’auctoritas di Plinio, contesterà le tesi del proprio predecessore sull’antico nome di Firenze- Fluentia, perché si sarebbe trattato di una vocabolo «corrupto» (Historiae, libro I).
Oltre che nella Nuova Opera (di cui si è già voluto riportare una citazione significativa), Giovanni Cavalcanti riprenderà il discorso nel Trattato politico-morale, ponendo l’accento sulle origini mercantili della città- con l’esistenza di un mercato sviluppatosi nella piana in mezzo a luoghi acquitrinosi e i mille rivoli del suolo alluvionale. In questo mercato, organizzato ai primordi cittadini, si sarebbe svolta una fiera del mese di marzo- in onore dei dio Marte. Da ciò deriverebbe un primo etimo Fier-enze o For-entia.
La tesi mercantilistica del Cavalcanti viene supportata, per ciò che concerne le origini cittadine, dall’Historia Florentinorum di Bartolomeo Scala: «Mercatus certe fuit ad imum montis, ubi nunc urbis est».
Machiavelli, nelle sue Istorie fiorentine, senza citare esplicitamente le fonti di cui è debitore, abbraccerà sommandole le teorie dei suoi predecessori, ma attribuendole idealmente alle più alte autorità di «Dante e Giovanni Villani»; e farà il punto della situazione:
«Egli è cosa verissima, secondo che Dante e Giovanni Villani dimostrano, che la città di Fiesole, sendo posta sopra la sommità del monte, per fare che i mercati suoi fussero più frequentati e dare più commodità a quegli che vi volessero con le loro mercanzie venire, aveva ordinato il luogo di quelli, non sopra il poggio, ma nel piano, intra le radice del monte e del fiume d’Arno. Questi mercati giudico io che fussero cagione delle prime edificazioni che in quelli luoghi si facessero, mossi i mercanti da il volere avere ricetti commodi a ridurvi le mercanzie loro; i quali con il tempo ferme edificazioni diventarono. […]
Ma donde si derivasse il nome di Florenzia, ci sono varie opinioni: alcuni vogliono si chiamasse da Florino, uno de’ capi della colonia; alcuni non Florenzia, ma Fluenzia vogliono che la fusse nel principio detta, per essere posta propinqua al fluente d’Arno; e ne adducono testimone Plinio, che dice: “i Fluentini sono propinqui ad Arno fluente”. La qual cosa potrebbe essere falsa, perché Plinio nel testo suo dimostra dove i Fiorentini erano posti, non come si chiamavano […]»
Evidenze archeologiche
Non possiamo non notare quanto il dire del Machiavelli sia prossimo alle evidenze storico-scientifiche sulle origini di Firenze.
In base ai dati emersi dai recenti ritrovamenti archeologici e dalle indagini stratigrafiche, si può affermare che «l’insediamento fiorentino, posto in corrispondenza di uno dei più agevoli punti di passaggio dell’Arno nel suo medio corso, rivestì fin dalle epoche più remote un importante ruolo di forum commerciale, e quindi culturale, appunto per la sua posizione all’incrocio delle direttrici naturali di comunicazione costituite dalla valle del fiume e dai percorsi transappenninici» (Capecchi 1996, v. bibl.).
Le prime testimonianze di presenza umana e continuità di frequentazione nella zona dell’attuale centro di Firenze si attestano già dal tardo Neolitico – inizi dell’età dei Metalli (fine IV inizio del III millennio a.C.), e testimoniano rapporti culturali e commerciali ad ampio raggio che proseguono, senza soluzione di continuità, con la progressiva bonifica del territorio.
Nel periodo classico e l’età ellenistica (II-I secolo a.C.) nella zona di Piazza della Signoria – via del Proconsolo, era presente un abitato con le funzioni di “porto-emporio” in stretto rapporto con la vicina metropoli fiesolana.
Firenze, come “città fondata”, nasce dopo il 59 a.C., a seguito della Lex Iulia Agraraia di Giulio Cesare, tuttavia la creazione della colonia di Florentia avviene solo in età augustea, 30-15 a.C.
Un altro topos del mito identitario cittadino che si liquefà a cospetto delle evidenze archeologiche è la presunta presa o distruzione della città da parte di Totila. Vi fu sì un assedio di Firenze da parte dei Goti – durante la guerra goto-bizantina, ma la città che all’epoca era sede di una guarnigione imperiale, verrà salvata dall’arrivo dei rinforzi bizantini da Ravenna (541-542).
Un’identità fluviale
Oltre l’esigenza di modulare la storia, come s’è sempre fatto, mutando qua e là prospettive ed accenti, in relazione al risvolto politico-ideologico o al proprio o l’altrui tornaconto circostanziale.
Oltre la necessità atavica di radicarsi in una genealogia mitica, fondatrice di senso e fornitrice di valori identitari o da sfoggiare presso amici e nemici nell’atto dell’auto-rappresentazione.
Oltre le dispute filologiche e le “incertezze” etimologiche a cui si è voluto brevemente accennare, la presenza dell’Arno e l’estesa disponibilità di acqua trovano una precipua celebrazione nei panegirici e nelle cronache cittadine e, in quanto risorsa primaria e identitaria della città, divengono un topos letterario che si consolida nel tempo.
L’eccellenza della città si riconosce, secondo Coluccio Salutati, oltre che per le sue molteplici qualità architettoniche e spaziali, dalla disponibilità di acqua dal fiume e dai numerosi pozzi. Benedetto Dei evidenzia quanto l’Arno e le sue infrastrutture creino prosperità e piacevolezza e ci delizia persino con una vera e propria classifica, dove fra le venti «degnissime e grandissime chose da mostrarlle a’ forestieri che venghono alla città», «l’ottava [è] la fiumara, e’ pozzi d’acqua viva». E inoltre, al terzo posto, secondo un’ulteriore scala valoriale: «Florentia bella à 7 chose ed è dotata di ciaschuna d’esse e non si può chiamare città prefetta e chi no ll’à tutte e sette. Prima ell’à liberta intera; sechonda ell’à gra’ numero di popolo e richo e ben vestito; la terza ell’à fiumara pe’ ‘l mezo, d’aqqua dolcie, e mulina drento […]».
La presenza del fiume, specialmente se navigabile, è un plus valore economico e commerciale: la fertilità dei suoli alluvionali; la forza motrice della corrente per i mulini, le gualchiere e le tintorie; l’accesso privilegiato alle risorse ittiche delle pescaie; il porto sul fiume e l’opportunità del più agevole trasporto delle merci. Dal mar Tirreno erano giunti i marmi per la costruzione del tempio di Marte, mentre la fluitazione dei legnami da costruzione dal Valdarno e dal Casentino raggiungeva il porto di Pisa. Secondo la testimonianza di Tacito, in età tiberiana (15 d.C.), una delegazione di fiorentini si era recata presso il Senato romano, per difendere la navigabilità del proprio fiume. Per evitare le esondazioni del Tevere nell’Urbe, era stato proposto in Senato che la Chiana confluisse nell’Arno, ma le trasformazioni idrogeologiche avrebbero messo in pericolo la città di Firenze e la navigabilità dell’Arno. In quell’occasione i fiorentini evocarono il rispetto dei fiumi patrii. E la navigabilità del fiume era stata preservata anche nel Medioevo: secondo la tradizione, i vascelli Normanni risalirono il fiume per saccheggiare l’area fiesolana (IX secolo).
Non vi è certezza sulla presenza del culto del dio fluviale Arno, ma il rilievo votivo ritrovato nel pozzo pubblico monumentale nell’area delle Terme del Foro, durante gli scavi ottocenteschi di piazza della Repubblica, farebbe ipotizzare una tale pratica devozionale. Era ben radicato, invece, il culto alla dea Iside, testimoniato dal sacello presso piazza San Firenze: protettrice della navigazione e somma regolatrice delle piene fluviali.
Gli antichi culti fluviali sfociarono con naturalezza nella devozione verso alcuni santi cristiani, i cui luoghi di culto troviamo- a protezione – sul Lungarno. Da San Frediano che prodigiosamente riuscì ad attraversare incolume l’Arno in piena, diretto verso la tomba del martire San Miniato, morto egli stesso sulla sponda del fiume; a San Niccolò (San Nicola di Bari), protettore dei marinai, barcaioli e pescatori- a monte di Ponte Vecchio; a San Giovanni Battista, nel cui onore durante la celebrazione solstiziale il fiume diventava protagonista delle abluzioni benauguranti della cittadinanza, con evidente richiamo al battesimo, alla rinascita e alla purificazione del corpo; a San Jacopo, protettore di pellegrini e viandanti, con il palio fluviale dei Navicelli, corso davanti all’omonima chiesa, chiamata giocosamente dai fiorentini “la chiesa con culo in Arno”.
In conclusione, che sia vera o no la sua primitiva etimologia, Firenze è fin dai primordi- e per costituzione e vocazione- anche un po’ Fluentia – Flumentia.
Siyana Nikolova Martcheva
Storica dell’Arte, scultrice, ricercatrice indipendente,
già docente al Corso di alta formazione “Arte per il culto cristiano”,
Pontificio Ateneo S. Anselmo- Roma
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