La scrittura di un romanzo come forma di Viaggio. Intervista con Alessio Marzini
A cura di Myriam Venezia
Alessio Marzini, classe 1970, è uno dei migliori barman in città, Il Tesoro di Firenze è il suo primo romanzo ma leggendolo è come se scrivesse da sempre. Il lettore viene proiettato all’interno della storia, i dialoghi coinvolgenti aiutano ad immedesimarsi nei vari protagonisti e quasi prendere parte alla vicenda.
Alessio, nato da una famiglia fiorentina originaria per metà di Santa Croce e per metà di Santo Spirito, concentra nel suo romanzo Il Tesoro di Firenze tutta la “fiorentinità” che scorre nelle sue vene regalandoci un romanzo dinamico che permette al lettore di poter empatizzare con i protagonisti e vivere un pezzo di storia di Firenze.
Proprio in merito al suo primo romanzo, recentemente pubblicato, verte la nostra intervista.
Il tesoro di Firenze è un romanzo storico, cosa l’ha spinto a scrivere un romanzo storico?
Sono nato e cresciuto a Firenze, ho respirato fin da piccolo la storia di questa città. Non mi sono mai fermato davanti a ciò che è conosciuto, anzi, mi sono sempre interessato ai minimi particolari, le curiosità e gli aneddoti che fanno da cornice a Firenze. Facendo parte del corteo della Repubblica fiorentina da circa 12 anni, non potevo esimermi dal tentativo di scrivere un romanzo sul corteo stesso, esaltando particolarmente la storica Partita dell’assedio. Naturalmente per trattare tale argomento ho dovuto ricorrere a letture di testi dell’epoca che poi ho adornato con la vicenda romanzata.
Com’è stato trovare le fonti e soprattutto raccontare una storia che si incastra nel passato?
Per me scrivere è come intraprendere un viaggio e quindi ho assemblato tutte le informazioni raccolte in precedenza, collegandole alla mia fantasia. Naturalmente, durante questo viaggio ho aggiustato ogni particolare cercando di dare un senso al romanzo. Non mi ritengo uno scrittore storico, mi definirei piuttosto un incurabile curioso che per saziare la sete di conoscenza approfondisce determinati argomenti. In questo caso, storico-artistici.
Il Tesoro di Firenze è un romanzo storico che, a mio avviso, assume i caratteri di un thriller storico.
Durante la lettura mi ha ricordato vagamente lo stile di Dan Brown o Ken Follett. Sono stati delle
ispirazioni?
Il mio stile di scrittura attinge molto da scrittori ben più conosciuti. Il mio desiderio, fin dai miei primi manoscritti, è sempre stato quello di incuriosire il lettore. Un modo per dare seguito alla lettura del romanzo incalzando continuamente il lettore, passo dopo passo. Una sorta di filo conduttore al quale non è così facile staccarsi rischiando di perdere il contatto e di conseguenza il ritmo stesso. In ogni caso, dopo letture giovanili di molti romanzi di Stephen King, mi sono avvicinato agli autori sopracitati, anche se il mio preferito è Zafon.
Lo stile del romanzo io lo definirei dinamico. La presenza dei dialoghi aiuta sicuramente lo scorrere
della storia e aiuta il lettore ad immergersi all’interno di essa. Com’è nato questo romanzo?
I dialoghi rispecchiano molto il mio modo di vivere, privilegiando la parola. Ogni giorno, grazie al mio lavoro di barman, sono portato a dialogare, ascoltare, incuriosirmi e partecipare a serate ricche di innumerevoli parole. Quindi, perché no? Volevo inserire questo sale anche all’interno del romanzo. Oltre a questo, ho individuato dei personaggi particolari, facendoli vivere in diversi periodi storici, grazie ad un diario ed un elisir di lunga vita. Come ho detto in precedenza, ho tirato le somme, realizzando una storia profondamente legata a Firenze. Diciamo che ho cercato di esaudire anche le richieste commissionatemi da Luciano Artusi.
(a cura di Myriam Venezia)