Intervista a Lorenzo Pecchioni

a cura di Myriam Venezia

Lorenzo Pecchioni è una figura che definirei eclettica, autore di libri e di video ed editore. Curatore editoriale, molto empatico fin da subito, cerca di entrare nel tuo modo di pensare e tirare fuori il meglio per i tuoi progetti.

La casa editrice Press&Archeos, da lui diretta, pone le sue radici in un progetto nato nella metà degli anni ‘90 dalla collaborazione tra alcuni artisti e documentaristi e che oggi si è ritagliata un suo spazio all’interno del bacino editoriale toscano e non.
Con il tempo Press&Archeos ha preso forma, dando voce ad autori di saggi di storia e antropologia culturale, settori che ancora oggi costituiscono lo zoccolo duro delle pubblicazioni della casa editrice; al contrario di quanto si possa pensare, con gli anni non si è snaturata ma ha continuato ad essere una casa editrice fieramente indipendente e ha dimostrato, sotto la guida di Lorenzo, di poter affrontare anche i periodi più turbolenti.

Oggi Press&Archeos ha diversi progetti all’attivo, tra questi possiamo citare la collana Nadie se conoce, e autori di diverso genere, del calibro di Mario Ajazzi Mancini, Francesca Rachel Valle, Vittorio Di Cesare, Barbara di Noi, Enrico Baccarini e molti altri.
Per scoprire di più sulla casa editrice e sulle sfide che un editore indipendente deve affrontare oggi, abbiamo fatto qualche domanda a Pecchioni.


Lorenzo, molte cose in editoria stanno cambiando. I nuovi formati, i cambiamenti del mondo digitale, l’avvento dell’intelligenza artificiale … come vive tutto questo chi lavora sui libri facendo editoria indipendente?
Eh si, è proprio una fase in cui stanno succedendo molte cose, mentre il Nuovo e l’Antico coesistono!
Premetto che, da quando si può usare l’IA, ci stiamo anzitutto divertendo, applicando soluzioni inedite e ideando progetti, senza pensare troppo a quello che succederà dopo. Pur consapevoli che tutto potrebbe avere evoluzioni sorprendenti, sfuggendoci di mano. Ma credo che questa sia la situazione emotiva in cui si trovano in molti, non solo nel nostro settore.
Per ora è soprattutto un gioco. E così anche quest’intervista è un gioco, perché la pubblichiamo sul nostro sito, no? L’attività editoriale sembra, molto spesso, un gioco.

Alcuni ritengono che col diffondersi di IA i libri siano destinati a estinguersi e che l’editoria non sarà più un’attività necessaria. Cosa ne pensi?
Non starò qui a pontificare su come, e in qual contesto, i libri continueranno a essere prodotti e acquistati. Né cercherò di descrivere la complessità di quelle circostanze, su cui mi capita di dibattere con altri addetti ai lavori. Posso però sottolineare un aspetto che credo importante e che penso venga generalmente trascurato.
Quando si sente dire cose come “i libri li scriverà l’intelligenza artificiale”, o che autori ed editori non avranno “più niente da fare”, potremmo anche ribaltare il punto di vista e pensare meno al consumatore finale, cioè al lettore. Ci dimentichiamo infatti che molte persone, le più disparate, hanno anzitutto l’urgenza di scrivere e di pubblicare.
Si tratta spesso di autori evoluti, che fanno un certo lavoro sulla parola e sul senso della ricerca, come di altri che hanno anzitutto la necessità di intrattenersi e, in secondo luogo, intrattenere. Comunque sia, in molti Devono Scrivere.
Questa necessità è incredibilmente viscerale e tutto fa pensare che non si estinguerà nei prossimi anni. Forse verrà meno con la fine della nostra generazione. Noi siamo individui essenzialmente novecenteschi. In quanto autore molto attivo in passato, posso dire che dopo la creazione/scrittura è altrettanto urgente giungere a una edizione, una pubblicazione e una distribuzione. Si completa così un itinerario a suo modo rituale. Qualcosa che è l’essenza dell’avventura editoriale e che non guarda molto all’attualità dell’attualità. È su quel sentiero che abbiamo ancora molto da lavorare – a parte, chiaramente, nella direzione del lettore.
Per quanto riguarda un “dopo” cronologico e “anteriore”, in cui saremo circondati da chissà-cosa, ora non ho molto da dire…salvo che spero che arrivi tardi, e di essere almeno in pensione!

Stai parlando di una editoria che lavora per gli autori senza considerare il pubblico dei lettori come si faceva un tempo? È indubbio che in Italia si legga sempre meno e quando lo si fa si tende a preferire libri in formato digitale.
Ma via. Si legge ancora molto e per motivi diversi: per evasione, per ristorazione, per terapia, per amicizia, per conoscenza… si legge i manuali, i libri delle istruzioni e si legge le storie di gossip. Si legge anche per poter creare un proprio “golem teoretico” e passare poi a teorizzare. E di gente che teorizza in piazza ce n’è tanta.
Ma, per quanto riguarda l’importanza degli autori (porre al centro le loro necessità, come la loro collaborazione economica e d’altro genere) devo fare auto-critica perché per molto tempo, come editore, ho lavorato soprattutto per i lettori, costruendo con i miei collaboratori libri dedicati a soggetti che potessero avvincere. E ancora oggi tendo a produrre pensando a qualche nicchia d’interesse, a qualche pixel del mercato, a qualche “mercatale” dove poter piazzare le copie fisiche dei libri.
Ho notato inoltre che il Lettore per il quale ho lavorato a lungo, mi somiglia un po’ troppo…con evidenti contraccolpi (ho gusti difficili, e non solo).

Al contrario penso che altri editori, piccoli o medi (sui grandi gruppi non so nulla), abbiano cercato anzitutto autori e committenti, pensando un po’ meno all’anima del lettore. Molti hanno frequentato appositamente salotti, cortili e logge dove fosse possibile trovare nuovi scrittori, meglio se facoltosi. A volte (i casi sono innumerevoli e tutti diversi tra loro), si è approfittato dell’urgenza di scrittura dei singoli, producendo libri finiti in casa degli amici, più che in libreria. Una sorta di distribuzione da salotto e nei salotti!
Capitano anche a me situazioni del genere. Ma a un certo momento scatta – deve scattare – un’urgenza ulteriore, altrimenti si è proprio sbagliato mestiere.
Credo che un editore, per quanto piccolo, per quanto stanco, debba cercare di costruire un contesto nel quale fare un libro ha senso. E non solo per l’autore. Un senso all’interno di una scena, quindi spesso di un mercato. Un senso che talvolta è in parte oscuro, che si rivela andando avanti. Mai fermandosi dopo aver riscosso qualcosa. Sì è quindi, almeno per un certo tratto, dei compagni di viaggio degli autori. E un viaggio è sempre un’avventura: cerchiamo di divertirci! L’editoria è uno dei mestieri più belli del mondo.

Cosa pensi dell’editoria a pagamento?
Non esiste editoria a pagamento ma libri per i quali i riscontri, economici ed esistenziali, sono di altro genere e, poiché il mercato (o altro) non può assorbire le spese, dobbiamo aiutarci a vicenda, rimandando il momento della riscossione. Inoltre i costi sono aumentati: la carta, le spedizioni, l’indicizzazione in isbn/metAlice, la burocrazia che grava sulla singola copia. Fare libri ha costi notevoli, molto più di dieci anni fa.

Eppure molti sui social si scagliano contro l’EAP.
Se sono autori, posso capire. Se sono editori, non saprei, ciascuno fa le sue scelte. Credo che il “no-eap” sia anche un modo diverso per mostrarsi impegnati in una lotta, quindi per additare dei nemici (il ché è sempre utile alla comunicazione sui social). Non mi fido molto di coloro che sostengono radicalmente questa urgenza. Diciamo che ho altri modi per “fare l’eroe”, concesso che nessuno sia esente da malizie, anzi.
Penso comunque che si debba guardare agli autori: credere a chi è realmente motivato, ha già un’identità in una scena e molte cose da dire; quindi andare in stampa senza pretendere esosi contributi: tutto questo significa solo rimandare le riscossioni ed è bello farlo, se rimandare è possibile.
Inoltre, guardare alla qualità ripaga sempre.

Qual è la tua visione della distribuzione libraria?
A parte Amazon, con cui abbiamo rapporto diretto, lavoriamo con almeno 4 distributori tradizionali e vari tipi di venditori, agenti, grossisti. A nord dell’Aniene siamo abbastanza coperti. Sono convinto che i libri debbano girare molto, a costo di perdersi qua e là e mi piace gestire rapporti con vari distributori e punti vendita. Per indole, preferisco le librerie a molti altri luoghi d’esercizio. Adoro i librai, gente acuta, competente, spesso dotata di un sottile, affascinante lato oscuro.

Come ti rapporti agli altri editori, esiste un circuito di collaborazione?
A volte si, spesso no. Un anziano distributore una volta mi disse, “l’editoria indipendente è la fiera della vanità”, e non so dargli torto, anzi mi ci rivedo in parte. Ma i vanitosi sono anche molto sensibili, sono coloro che in un momento complesso o di flessione del mercato, direi di “compressione del futuro”, rischiano di soffrire di più.
Diversi anni fa, quando in una serie di articoli parlai di “fine del libro” o comunque di uno stato di crisi che andava oltre il semplice cambio dei formati, alcuni mi schernivano e mi guardavano con diffidenza, ostentando grandi sorrisi e pavoneggiandosi nelle fiere dell’ottimismo. In pochi si sono posti realmente il problema di creare qualche antidoto esistenziale a una certa malia che si stava diffondendo.
Oggi alcuni di quei colleghi o compagni d’avventure varie, vinti da qualche sventura e dal burnout, sono passati ad altro mettendo fine a un certo spasmo cronico, prima che la crisi, la burocrazia ecc. li inghiottisse definitivamente. Credo che abbiano fatto bene, anzi in un certo senso li invidio, perché ora hanno lavori normali. Tuttavia, mi accorgo adesso di quanto fossimo diversi, e di come si possa arrivare a fare-libri (e non solo) per motivi altrettanto diversi, forse inconciliabili.

Cosa intendi per antidoti a una certa “malia”?
Non starò qui a parlare dell’importanza dei libri di carta, né a ripetere che niente è andato perduto – salvo ciò che era perduto ormai da tempo. Né mi aspetto che si comprenda mediamente quanto, qualcosa come il “vivere della propria stessa fine” possa mandare in tilt la cronologia di un meccanismo fatalistico.
Ma di fatto posso notare, e molti colleghi concorderanno, che al di là di un pensiero medio, popolare, italiota che vede realmente il libro come qualcosa di vetusto e superato, proprio quei libri, nel mondo e persino in Italia, continuino a vendere, a essere apprezzati. Che i progetti che abbiamo fatto non fossero sbagliati, tutt’altro. E che il problema in realtà sia nel contorno a tutto questo: in una crisi che non riguarda né noi, né il libro particolarmente. La riconosco, invece, negli impedimenti al fare un certo lavoro in proprio, ispirato e culturale, in una nazione in cui le responsabilità di “antichi errori” non vengono spartite adeguatamente.


In cosa pensi di distinguerti come editore?
Sono simile a tanti, ma poco ad altri editori. Penso che gli anni passati a occuparmi di tutt’altro, in uno scenario sostanzialmente underground, agiscano ancora in me, nel peggio ed anche nel meglio. Dal post-punk ho imparato molto di quello che mi è servito per agire e andare avanti. Pur restando un tradizionale, popolano, fiorentino, vincolato al paesaggio e legato ad antiche sorgenti energetiche.
Credo che molti autori abbiano bisogno di editori assai diversi da me, per continuare le loro lotte e soprattutto le loro fiction. Gli sono grato per non farmi perdere tempo ma sempre pronto a consigliare altre strade.

Cosa si prova ad essere editori dei libri del proprio padre, Enio Pecchioni?
Ho vissuto la situazione con divertimento e considero il babbo una sorta di presidente onorario di questa sorta di casa editrice. Lui ha scritto tantissimo. Ora ha quasi 84 anni e sta continuando a ricercare, non ti dico su chi o cosa; ma si preoccupa soprattutto delle galline e dei gatti.
Come Indiana Jones, posso lamentarmi che per mio padre fossero importanti, anche troppo importanti, i popoli antichi… Tuttavia io sono stato coinvolto da subito. Ho senz’altro ricevuto una specie di lavaggio del cervello in infanzia. Mi sono emancipato, poi mi sono fatto riassorbire. E forse l’archeo è tutto qui.

Tu hai un passato da artista e videomaker, come sei arrivato a occuparti di libri?
Chiaramente attraverso i documentari, che sono cinema e ricerca storica al contempo. Non sono mai stato un grande lettore, almeno di romanzi, e i miei amici di gioventù potrebbero confermare che, pur essendo cresciuto in una casa stracolma di libri, non ne fossi un grande frequentatore (tra parentesi: rendetemi i libri che vi ho prestato!).
Forse sono arrivato a fare il produttore di video e poi di libri perché…non volevo diventare grande. Uno stato di grazia che col tempo si è trasformato in una posizione molto più impegnativa, all’interno della quale sono dovuto maturare molto.

Mi sembra tutto un po’ psicologico. Un editore deve essere anche un po’ analista?
Chissà, magari verso qualche autore, senz’altro verso se stesso per quanto possa essere paradossale. Ma forse l’editoria indipendente – chiamiamola così – esiste proprio per questo: perché non c’è l’intenzione di psicanalizzarsi in modo ortodosso. O, scherzandoci su, perché non è possibile chiedere ai propri terapeuti di farti da editore.
…E comunque, gli psicanalisti sono gente scaltra, non sarebbero mai così poco furbi da accettare l’incarico!
Fare libri è comunque molto impegnativo, a volte sconveniente, e bisogna reggere a situazioni tutt’altro che semplici.


a cura di Myriam Venezia