Il primo fiorentino di cui si conosce il nome
di Enio e Lorenzo Pecchioni
A Firenze abitarono gli Etruschi e tra di essi vi fu il primo “fiorentino” di cui si conosce il nome.
Stiamo parlando di una Firenze ancestrale, ma reale, come hanno affermato più ricercatori in passato (dagli studi di A. Rinco al nostro Firenze Etrusca di E. Pecchioni e G. Spini, di prossima ri-edizione) e a proposito della quale G. Camporeale ha parlato di una presenza umana capace di «un’ideologia proto-urbana» (1).
D’altronde le tracce della presenza di Villanoviani/Etruschi a Firenze sono molte di più di quello che è comunemente pensato e affermato. Numerosi ritrovamenti di ceramiche e, soprattutto in epoca meno recente, di vere e proprie sepolture, si sono verificate nel Centro storico della città, nei dintorni dell’antico foro e non solo. Sappiamo inoltre che moltissime sepolture furono andate distrutte nell’Ottocento, durante i lavori per Firenze Capitale (2).
Siamo, quindi, nel cuore della Florentia romana. Ma più che ad una città, le tracce etrusche fanno pensare all’esistenza di una vasta necropoli che raccoglieva le necessità di alcuni insediamenti circostanti, tra cui uno di natura portuale, posto probabilmente nei pressi di piazza Mentana.
Ebbene sì: l’antica città di Firenze si sarebbe sviluppata sul terreno occupato precedentemente da una necropoli. Fatto curioso se non significativo, soprattutto se pensiamo a quanto gli Etruschi rispettassero le loro sepolture, la cui deturpazione comportava maledizioni e sventure.
Tra i reperti etruschi rinvenuti in tempi recenti a Firenze esistono alcune coppe a impasto, datate alla metà del VII / inizio VI sec., recanti iscrizioni tra le più antiche ritrovate in città.
Gli oggetti provengono da uno scavo condotto nel 2002-2003 in uno spazio tra la Badia Fiorentina, via Proconsolo e via Alighieri – quindi nel pieno del Quartiere Dantesco – durante le ristrutturazioni di un palazzo del XIX secolo (3).
Nei pressi della Badia è stata individuata una “misteriosa” struttura a fossa circolare, riempita di un terreno scuro (per la presenza di carboni), con tracce di buche di palo tutto intorno ed un canale adiacente. Si tratta forse del vano sottopavimentale (destinato al drenaggio?) di un edificio in legno; o forse di un ambiente di lavoro, o altro (4).
Dal terreno di questa fossa provengono tre ciotole/coppe con brevi iscrizioni sul fondo. Se una risulta incomprensibile e un’altra assai generica (“VL”, forse un riferimento numerale) a sorprenderci è una terza che riporta la parola “UPU” in caratteri etruschi.
È più che probabile che questa parola corrisponda a un riferimento onomastico, un nome di persona espresso al nominativus pendens (il soggetto è “sospeso” e parte dell’affermazione è omessa alla scrittura).
Upu: sua è questa tazza. E non è certo la prima volta che troviamo un nome proprio inciso su un utensile: si pensi alla ceramica rinvenuta a Radda in Chianti (Cetamura), recante la scritta CLUNTNI, possibile versione etrusca del nome Chianti.
Sembra dunque che tale Upu (forse l’abbreviazione di un nome più lungo, comunque poco diffuso in Etruria) sia il nome del fiorentino più antico di cui abbiamo conoscenza.
È suggestivo immaginare che quest’uomo sia vissuto negli stessi luoghi in cui nacque secoli dopo il più sommo dei fiorentini: Dante Alighieri.
Chiunque fosse, l’etrusco Upu, abitando in questo luogo ebbe certamente a che fare con le attività mercantizie svolte dai fiesolani. Fu forse un vasaio, lo stesso ad aver fabbricato la sua “tazza”. O un commerciante, o un magazziniere, comunque abbastanza libero da poter esprimere il suo nome in un oggetto di proprietà.
Ma visto il rispetto che la società etrusca conservava per le donne, non possiamo escludere che la tazza avesse una proprietaria, e che UPU sia una rarissima forma onomastica femminile.
Upu abitò l’insediamento etrusco di Firenze, emanazione di Fiesole, il cui nome ci è invece totalmente oscuro – ammesso ne sia esistito uno o uno solo.
L’antichissima Firenze avrebbe potuto chiamarsi Arnthia, in onore al fiume su cui aveva porto (5). O forse Birenz, «terra tra le acque paludose», come suggerisce V. Semeraro (ma dovremmo correggere la B in V, poiché il suono della prima non esisteva in etrusco). O ancora Fluus (Flora?) o un’altra parola su cui i romani potessero poi innestare il loro Florentia, che è senz’altro un nome augurale (città fiorente/destinata a fiorire, un po’ come il caso di Potentia).
Fiorente o no, qualche “ombra” resta sempre nelle suggestioni scaturite dalla storia della città e nel daimon dei suoi abitanti: la coincidenza con le antichissime necropoli, i culti delle antiche divinità con la scomparsa dell’antica statua di Marte; ed ora la piccola struttura circolare da cui proviene la tazza di Upu, centrata, con i suoi “carboni”, nel luogo in cui qualcuno già fantasticò di un fatidico, dantesco ingresso agli inferi …
Così, non riusciamo a immaginare questo Upu se non come un tipo un po’ ombroso ma arguto, attaccato alle sue cose tanto dal siglarle col proprio nome, non senza qualche ironia. Insomma un fiorentino, un “maledetto toscano”.
Note
1) G. Camporeale, Workshop archeologia a Firenze, 2013 (http://camnes.it/workshop-archeologia-a-firenze-citta-e-territorio)
2) «La necropoli si estendeva dall’attuale via Pellicceria fino a Via del Campidoglio, comprendente la zona di Calimala, Via Sassetti, Via Vecchietti, Via Strozzi, per un’area di quasi quattromila metri quadrati. Gli orci o ziri riportati alla luce furono una ventina, ma per esplicita ammissione di chi soprintendeva ai lavori, molti altri andarono distrutti». Da Firenze Etrusca di G. Spini e E. Pecchioni, 2010.
3) M. Martinelli, Gli Etruschi tra Firenze, Fiesole e l’agro fiorentino, in Atlante archeologico di Firenze, a cura di Mario Pagni, 2010, p. 80.
4) Ibidem.
5) Il termine Arno rimanda al tema arna, “letto incavato di un fiume”, già diffuso nell’Europa centrale.