Le Sibille italiche
Ognuno di noi ha desiderato, almeno una volta nella vita, di poter conoscere il futuro, così i romani, che non avevano sul loro territorio nessun Oracolo degno di nota, erano costretti a viaggiare fino in Grecia e in Asia minore dove si trovavano quelli più importanti ed accreditati. Costretti non è una parola troppo forte, anticamente, infatti, la consultazione dell’Oracolo era un bisogno connaturato con l’uomo stesso e gli si dava un’importanza estrema. L’esito di molte battaglie e decisioni prese da statisti, re e imperatori, furono condizionate dai responsi oracolari. Ma erano soprattutto le persone normali che pur di conoscere il proprio futuro sopportavano le fatiche di lunghi viaggi. Veri e propri pellegrinaggi per avere risposte su problemi che ancora oggi ci assillano, preoccupazioni quotidiane, professionali e famigliari, come “avrò dei figli?” oppure “mia moglie è fedele?”, “conviene che presti dei soldi a Tizio?”, “devo aprire un negozio in città?” ecc.
Alla fine, i romani si appropriarono di un fenomeno marginale nel sistema degli oracoli greci: le sentenze delle Sibille. Donne dotate di poteri medianici, talvolta cadevano in estasi e venivano assalite, quasi sempre, da presentimenti negativi. Poichè queste visioni, spesso dovevano avverarsi solo dopo molto tempo, alcuni sacerdoti cominciarono a trascrivere le profezie per tramandarle ai posteri, e considerando che le Sibille furono circa dieci, vennero riempiti interi volumi. Il circa è d’obbligo vista la discordanza delle testimonianze pervenuteci; in genere, però, ci si attiene all’elenco fatto dallo storico Varrone nel I sec. d.C. che ne enumera dieci. Platone, nei suoi scritti, ne cita soltanto una, per questo si pensava, anche, che in realtà si trattasse di un’unica Sibilla immortale che si spostava da un luogo all’altro.
Il significato della parola Sibilla è incerto: la versione più accreditata è “Vergine Nera”, poichè esse, che dovevano essere vergini per dedicarsi completamente al dio, formulavano le loro profezie all’interno di cavità naturali delle rocce, gli Antri delle Sibille, appunto, luoghi oscuri, bui e neri.
La più antica di queste profetesse fu, per alcuni, Cassandra di Troia, figlia di Priamo e di Ecuba, che il mito vuole essersi rifiutata alle voglie di Apollo, e per questo, condannata dal dio a vaticinare solo sciagure imminenti senza però esser mai creduta. Pausania (libro X, cap. XII) racconta che Erofile di Eritre, una città sulla costa dell’Asia minore, era la più antica e che aveva previsto la nascita di Elena a Sparta.
Ma la veggente per antonomasia era la Sibilla Cumana. Cuma, in greco Kyme, è considerata la più antica colonia greca in Italia e sembra che al seguito dei coloni calcidiesi ci fosse una veggente (per alcuni la stessa Erofile) che si stabilì ai piedi del colle dove sorgevano l’Acropoli e il tempio di Apollo. La sua fama si sparse per tutto l’impero romano e il suo antro divenne un vero e proprio oracolo, perchè la profetessa vaticinava non solo spontaneamente, come era consuetudine delle sibille, ma rispondeva anche alle domande. In un primo tempo, pare, i suoi responsi furono trascritti su foglie di palma, in seguito andarono a costituire i cosiddetti Libri Sibillini che una leggenda vuole siano stati venduti al re Tarquinio il Superbo per trecento filippi d’oro (secondo Varrone fu Tarquinio Prisco a comprare i Libri, perchè fu lui a far costruire il Tempio Capitolino con il bottino ricavato dalla guerra contro i Sabini). I libri, in origine, erano nove, ma ritenendoli troppo cari, il re li rifiutò. La Sibilla allora, ne distrusse tre, riproponendo gli altri sei allo stesso prezzo dei nove; Tarquinio rifiutò nuovamente e lei ne distrusse altri tre. Alla fine il re, pressato dai consiglieri e dal popolo, fu costretto ad acquistare gli ultimi tre al prezzo originario. I libri bruciarono nel grande incendio dell’83 a.C.; secondo Tacito, i romani in seguito, se ne procurarono delle copie in vari luoghi: a Samo, Troia, Eritre, in Libia, in Sicilia ecc. e dopo averle fatte esaminare dalla commissione dei quindici le posero, nel 12 a.C., nel tempio di Apollo Palatino. La nuova serie fu distrutta agli inizi del V secolo per ordine del generale romano Stilicone.
Una leggenda narra che Apollo, invaghitosi della Sibilla Cumana, promise di esaudire ogni suo desiderio in cambio della verginità. Ella chiese di poter vivere tanti anni quanti erano i granelli di sabbia che riusciva a tenere nella mano; dimenticò, però, di chiedere di rimanere giovane…Fu così che la Sibilla Cumana iniziò ad invecchiare fino a rinsecchire e ad avere la voce come una cicala, tanto che fu ingabbiata ed appesa nel tempio del dio da cui, comunque, continuò a vaticinare implorando al tempo stesso la morte.
Virgilio, nell’Eneide, la descrive come una vecchia che accompagna l’eroe troiano Enea nel mondo sotterraneo alla ricerca di suo padre Anchise.
L’antro della Sibilla Cumana, benchè rimaneggiato in epoca ellenistica e romana è certamente collegato al culto oracolare originario di Apollo. Vi si accede attraverso un lungo corridoio di oltre 130 metri scavato interamente nella rocccia tufacea, illuminato da sei grandi fenditure aperte in gallerie laterali verso il mare. Il corridoio presenta, nella parte superiore, una caratteristica sezione trapezoidale che aumenta l’impressione di altezza, di per sè già notevole (ca. 5 metri). Sul lato est, si apre un’altra galleria con tre ambienti rettangolari disposti a croce con una copertura a falsa volta; riforniti da un canale, si pensa fungessero da cisterne dove la Sibilla si lavava e, dopo aver indossato una lunga veste, si recasse nella cella vera e propria per vaticinare seduta su di un alto trono. Nel I sec. d.C. il culto ufficiale cessò e l’antro servì in parte da cimitero per i cristiani. Per secoli, erroneamente identificato sulla sponda del lago d’Averno in una grotta ancora oggi visitabile, l’antro della Sibilla Cumana fu portato alla luce nel 1932 dall’archeologo Amedeo Maiuri. Recentemente, tuttavia, si è messa in discussione anche questa attribuzione e si è ipotizzato che sia in realtà una struttura difensiva. Il vero Antro della Sibilla si sta ora ricercando presso le rovine del tempio di Apollo, in un ambiente sotterraneo detto “la cisterna greca”.
La Sibilla Albunea o Tiburtina era prediletta della dea Venere. Secondo lo storico Varrone, era venerata come una divinità nel Tempio della Sibilla a Tivoli, città di cui era la protettrice. Si narra che sulle rive del fiume Aniene fu trovata, un giorno, una sua statua in marmo con in mano un libro; per questo, secondo alcuni, fu lei la vera artefice dei Libri Sibillini, mentre per altri li offrì in vendita a Tarquinio Prisco dopo averli ricevuti dalla Sibilla Cumana. Durante le Guerre Puniche i romani, dopo aver constatato che le profezie dei Libri non erano sufficienti a scongiurare il pericolo cartaginese, si misero alla ricerca di un’integrazione delle profezie tramite una raccolta di quelle circolanti nei loro territori; una leggenda narra che nel II sec. a.C. la Sibilla Tiburtina, attraverso le acque dell’Aniene, fece pervenire ai romani un Sacro Libro Sibillino del re Numa Pompilio.
Svetonio narra che l’imperatore Ottaviano, rivolgendosi ad Albunea, chiese se avesse potuto farsi adorare come un dio. La Sibilla gli rispose indicandogli quale fosse l’unico dio al quale anche l’imperatore avesse dovuto offrire un sacrificio. Augusto, allora, si inginocchiò e rinunciò alla deificazione. Donò un altare che fu collocato nella chiesa romana dell’Aracoeli. Nella sala San Bernardino del Palazzo Comunale di Tivoli è raffigurato tale episodio. L’Aracoeli, consacrata alla Madonna, fu fondata sul luogo dove si pensava che la Sibilla Tiburtina avesse predetto ad Augusto la nascita di Gesù, indicandogli il cielo dove si vedeva il Bambinello in braccio alla madre: NASCETUR CHRISTUS IN BETHLEM, ANNUNTIABITUR IN NAZARETH, REGNANTE TAURO PACIFICO FUNDATORE QUIETIS. OH FELIX ILLA MULIER CUIUS UBERA IPSUM LACTABUNT.
Sui “monti azzurri” che Giacomo Leopardi vedeva dalla natia Recanati, nel Parco Nazionale dei Monti Sibillini, lo storico Pollione in “Scriptores Historiae Augustae”, racconta che Claudio II il Gotico si affidò, nel 268 d.C., ai responsi oracolari della leggendaria Sibilla Appenninica o Picena.
La storia antica non ci ha tramandato nient’altro per secoli fino al medioevo. Solo tra il 1320 e il 1340, infatti, riappaiono notizie sul mitico Antro: lo storico Falzetti racconta della chiusura della grotta, oltre che per frane causate dal terremoto del 1328, per azioni politico-religiose avvenute tra guelfi e ghibellini e fra eretici e domenicani che frequentavano il sito. Varie bolle e editti della Chiesa furono emessi in quegli anni per contrastare Alchimisti, Catari, Patarini e Templari che avevano trovato rifugio nelle terre della Sibilla. Un secolo dopo, Antoine de La Sale, in un diario di viaggio, descrive la morfologia e il vestibolo della grotta. Flavio Biondo (1392-1463) scrive su “Italia Illustrata”: “C’è nella parte più alta dell’Appennino… una Grotta chiamata comunemente della Sibilla, e poco sopra c’è quel lago nel territorio di Norcia che raccontano con vana menzogna essere pieno di demoni, in luogo dei pesci.” In una pergamena del 1452 si legge della frequentazione del Lago della Sibilla** e dei dintorni, da parte di cavalieri spagnoli, per praticare l’alchimia e consacrare dei libri magici. Gli abitanti del comune di Montemonaco, poco distante, furono scomunicati, ma poi assolti, per aver svelato agli stranieri l’ubicazione del lago e della grotta. Sulle sponde del lago vi sono due cerchi di pietre ove si presume fossero praticati rituali negromantici e su di una pietra vi è un’iscrizione, parzialmente leggibile, con le parole SPIANGIANI e SPOLETO, riconducibili, verosimilmente, ad una maledizione ai danni della persona citata. Recentemente è stata ipotizzata anche la presenza dei Rosa Croce*** nelle terre della Sibilla, poichè su architravi di finestre e portali in pietra di numerose frazioni della zona, si trovano scolpiti i loro simboli: rose + croci.
La Sibilla Appenninica è legata anche al “Guerrin Meschino”, opera di Andrea da Barberino (1370-dopo il 1431), nella quale si racconta di un cavaliere che scende nell’antro della maga per conoscere l’identità dei suoi genitori; attraverso una serie di falsificazioni successive, la leggenda è stata spostata da un fulcro paganeggiante ad un altro più prettamente cristiano (soprattutto nel periodo dell’inquisizione), trasformando la Signora delle montagne nella demoniaca strega Alcinaa.
La prima esplorazione archeologica della grotta della Sibilla Appenninica, che si trova a 2150 mt nei pressi della vetta del Monte Sibilla, avvenne nel 1870, ad opera dei fratelli Caponecchi di Norcia. Nel corso degli anni, furono effettuati numerosi altri tentativi di scavo che però non fecero altro che danneggiare ulteriormente quanto era rimasto dell’Antro. L’ultima ricerca col georadar ha confermato l’esistenza di un vasto ipogeo alla profondità di 15 mt, costituito da cunicoli labirintici e notevoli cavità della lunghezza di circa 150 metri.
In queste terre, leggende e tradizioni s’intrecciano a comporre un mosaico di storie affascinanti e suggestive:
secondo alcuni, la Sibilla Appenninica era una regina che viveva nella grotta sul Monte Sibilla circondata dalle sue ancelle (le fate). Esse scendevano talvolta a valle per insegnare a filare e a tessere alle fanciulle del posto. Le fate sarebbero anche donne bellissime ma con i piedi caprini che di notte frequentano le feste dei paesi e che devono però tornare sui monti prima dell’alba; durante una fuga precipitosa avrebbero tracciato una faglia a 2000 metri sul Monte Vettore detta “la Strada delle Fate”. Altri luoghi sono segnati dal loro passaggio, come “le Fonti delle Fate”, “i Sentieri delle Fate”, “il Lago delle Fate”. Nei paesi di Foce, Montemonaco, Montegallo, tra il Pian Grande, il Pian Piccolo e il Pian Perduto di Castelluccio di Norcia e Pretare, ancora oggi si custodisce e si rievoca la memoria di queste creature, in una rappresentazione scenica detta “la Discesa delle Fate”.
Terre magiche quelle della Sibilla: attraversandole, tutto lascia intuire che una via sacra collegasse sorgenti, monoliti, grotte e santuari tra i monti, dove le comunità circostanti eseguivano i rituali dei cicli agrari annuali, dedicati alla Grande Madre fin dai tempi preistorici.
“…Annibale Cartaginese portava le truppe sul promontorio di fronte la Libia e poneva l’accampamento accanto a quel pozzo chiamato Lilibeo…” Questo antico luogo di culto, ispirato all’adorazione delle acque, fu identificato come dimora della Sibilla Lilibetana. La Grotta, che si trova proprio sotto la chiesa di San Giovanni Battista, costruita dai Gesuiti a Marsala sul Capo Boeo, è stata descritta nei loro racconti da Virgilio, Diodoro Siculo, Solino, dal vescovo Pascasino in epoca bizantina e, dal XVI secolo in poi, da altri autori, tra cui il Mongitore: “…al centro della grotta sta il tanto celebrato pozzo, delle cui acque, che tiene di salso, probabilmente bevea la Sibilla prima di proferire l’indovinamenti.”
Al centro della profonda grotta, dove fino al ‘400 si riunivano i primi cristiani di Lilibeo, sgorga tuttora la sorgente che divenne fonte battesimale; davanti alla cavità si trova un altare in pietra con un’immagine in marmo di S. Giovanni Battista, compatrono della città, risalente al XV secolo. Una leggenda narra che qui Ulisse, durante il suo peregrinare, sia venuto a dissetarsi e a consultare la Sibilla; all’interno della grotta si trova un giaciglio, che sembra quasi scavato con le mani, dove ella riposava. Un’altra leggenda, più recente, racconta che la Sibilla fosse in realtà una sposa caduta all’interno del pozzo, rimanendo imprigionata sotto la chiesa; per questo si sarebbe scavata un giaciglio per dormire.
Gli scavi archeologici, iniziati nel 1939, hanno messo in luce una statua marmorea di Venere e una pseudo cupola sopra il famoso “antro della sibilla”; imponenti fortificazioni, una porta d’accesso alla città e un santuario dedicato alla dea Iside (legata al culto delle acque). L’area, estesa per 30 ettari, fu usata in epoca romano-bizantina, prevalentemente come luogo di sepolture, arricchita da varie pitture di mostri marini, da numerose iscrizioni in lingua greca e da simboli paleocristiani che, decifrati, si sono rivelati essere formule rituali, esorcismi e scongiuri contro i demoni. Questa scoperta non deve meravigliare più di tanto: racconti di magia e leggende di immensi tesori hanno da sempre caratterizzato questo promontorio dove, multiforme divinità pagana, esternava i suoi vaticini la mitica Sibilla Lilibetana.
*Quindecemviri sacris faciundis.
**Ora Lago di Pilato: sì proprio lui, Ponzio, che la leggenda vuole morto qui, trasportato da due buoi. Gli animali, dopo aver vagato a lungo in seguito alla condanna dell’imperatore Tiberio, avrebbero finito col gettarsi insieme al loro fardello maledetto nelle acque del lago della Sibilla che da quel momento prese il nome del celeberrimo procuratore romano della Giudea al tempo di Gesù.
***Setta di “illuminati” del XV secolo che pretendevano di conoscere l’avvenire, di fabbricare metalli preziosi e di poter guarire i malati incurabili. Alcuni membri erano reclutati fra gli alti gradi della Massoneria.
Di Enio Pecchioni e Giovanni Spini
Gruppo Archeologico Fiorentino