La decadenza della Divinazione

Di Enio Pecchioni e Giovanni Spini

Abbiamo già trattato in altri articoli dell’arte divinatoria del popolo etrusco e di come i romani tenessero in grande considerazione i sacerdoti preposti a questa disciplina. Ciononostante non mancarono aspre critiche, dovute in parte al proliferare di ciarlatani che si spacciavano per indovini. La crisi di reclutamento degli aruspici che affliggeva le classi alte è, infatti, atttestata dal discredito nel quale era scivolato ciò che all’origine era un sacerdozio e che era divenuta una professione sordida. A misura che diminuiva il numero degli aruspici qualificati, aumentava la folla degli indovini da villaggio, che sfruttava la credulità dei gonzi. Plauto e Pomponio non hanno che sarcasmi per questi ciarlatani e Catone, preoccupato del buon ordine della sua proprietà rurale, ne impedì l’accesso agli aruspici, auguri, dicitori di buona fortuna e astrologhi”.*

Le complicate ed ampollose manifestazioni degli addetti alla divinazione nei tre rami principali dell’Etrusca Disciplina, suscitarono negli spiriti meno soggetti ad antichi pregiudizi e più consapevolmente fiduciosi nell’umano progresso, non poca incredulità. Ad esempio quando, ai tempi di Cesare, i sacerdoti asserirono di aver trovato un magnifico vitello, vittima sacra in una solenne cerimonia, privo di cuore. All’incredulità si aggiungeva talvolta anche il dileggio; Catone, come abbiamo visto, fu particolarmente scettico e caustico verso i vaticini espressi dalla casta sacerdotale. Cicerone dichiarò che una serie di divinazioni, quam multa luserant, si erano dimostrate fasulle, aggiungendo di non poter trovare alcun nesso tra gli umani avvenimenti e le viscere di una pecora. Asserzione non priva di un certo coraggio da parte di chi, tra le varie cariche, era stato anche Augure.


In un brano dell’opera “De Divinatione”, sempre di Cicerone, si può leggere: “L’avverarsi delle predizioni, dicono i fautori dei vaticini, si può paragonare all’effetto dei rimedi sulle malattie: l’effetto dei medicinali costituisce infatti un dato inoppugnabile dell’esperienza, anche se noi non riusciamo a comprendere come abbiano fatto i medici ad inventare o trovare i rimedi stessi…”. Nella stessa opera, in forma di dialogo, il fratello del grande oratore, Quinto, sostiene energicamente le parti degli indovini che definisce “esseri illuminati dagli dèi”, dichiarando: “I fatti sussistono, occorre quindi accontentarci di constatare che certi vaticini si avverano, senza indagarne le cause”. In un altro punto Cicerone parla dei prodigi che due anni prima, nel momento in cui Catilina tramava i fili della congiura, avevano eccitato la superstizione romana, attestando che la statua della Lupa del Campidoglio era stata colpita dal fulmine e che i due gemelli che allattava erano andati distrutti: “Chi allora, scorrendo i trattati e i monumenti degli esperti, non traeva dai fogli etruschi predizioni sinistre?” Del famoso oratore possediamo inoltre un discorso che illustra l’autorità esercitata sulla coscienza romana dalla vecchia civiltà etrusca. In un quartiere alle porte di Roma si udirono un giorno violenti e sordi rimbombi. Si fece appello agli Auguri che, consultati i loro libri, sentenziarono che era il segno che qualche luogo consacrato era stato profanato. Si trattava, dichiarò subito Publio Clodio, avversario accanito di Cicerone, del terreno sul quale questi stava ricostruendo la propria casa distrutta durante il suo esilio, sebbene fosse stato confiscato a favore della dea Libertà. Nient’affatto, replicò l’oratore, era la casa vicina, quella di Clodio, che gli dèi indicavano, perchè nonostante il santuario e gli altari che custodiva, Clodio ne aveva fatto un luogo di dissolutezza. Cicerone, sviluppando poi la sua controffensiva dimostrava che, a scrutare più a fondo i libri fulgurales, si scopriva che altri misfatti, dei quali Clodio era responsabile, erano stati commessi…

Di contro, gli avversari dei vaticini, e naturalmente Cicerone, smentendosi in continuazione si dichiara d’accordo con loro, attribuiscono l’avverarsi delle divinazioni stesse al semplice caso: trattandosi di medici poi, spiegano che il successo è dovuto unicamente alle conoscenze “scientifiche” (nel senso moderno della parola) degli indovini. Citando, tra l’altro, quando Talete di Mileto (624-546 a.C.), uno dei Sette Sapienti, onde far ricredere i propri critici che accusavano i filosofi di vivere con la testa tra le nuvole e di essere incapaci di concludere affari redditizi, acquistò, prima della fioritura, tutti gli ulivi del paese e ne ricavò poi, tra lo stupore di tutti, un raccolto formidabile, come egli aveva previsto quadam scientia. Anche un altro celebre indovino, Ferecide di Siro, maestro di Pitagora, vista disseccarsi l’acqua in un pozzo perenne, annunciò tempestivamente un prossimo terremoto. Cicerone, ovviamente, sentenzò che più che un sagace indovino, avrebbe dovuto essere considerato un ottimo medico o un uomo di scienza.


Anche se era in costante aumento in Roma il numero di quanti osavano dubitare, in contrasto con la casta sacerdotale, della serietà dei vaticini ed attribuivano il loro eventuale avverarsi a varie cause, la pratica della divinatio ed in particolare dell’haruspicium, perdurò validissima fino in epoca bizantina. Questo potrebbe far pensare, probabilmente, che gli antichi romani fossero esageratamente creduloni, ma se guardiamo ai giorni nostri quanta gente spende per lotto, lotterie et similia ingenti somme in base alle varie cabale e al Libro dei sogni, sarebbe forse più giusto ritenere che nell’antica divinazione, non tutto fosse inveterata superstizione o pura ciarlataneria.

É d’obbligo, quindi, dare credito alle infinite esperienze tratte per undici secoli dai sacerdoti etrusco-romani mediante le loro minute e analitiche osservazioni in ogni settore e mediante l’accurata registrazione di una interminabile e complessa casistica. Teniamo presente, ad esempio, le continue osservazioni astronomiche, le possibilità che i fulgurales ebbero di formarsi un quasi preciso concetto di gran parte delle leggi che regolano i fenomeni celesti, le conoscenze ornitologiche riportate dagli Auguri, le accurate indagini che portarono, attraverso secolari rilievi, gli Aruspici ad una conoscenza perfetta dell’anatomia animale. Quanto alle ricognizioni sanitarie dei sacerdoti stessi, è interessante notare che Teofrasto di Lesbo, filosofo e scienziato del IV sec.a.C., allievo di Platone e di Aristotele, nella “Istoria delle piante”, ricorda come fin dai tempi di Eschilo i Greci definissero l’Etruria “paese ricco di rimedi” e i loro discendenti “sapienti produttori di rimedi”. E tornando ancora più indietro nel tempo, Esiodo nella sua “Teogonia”, scrive che i figli della Maga Circe, così esperta nel preparare filtri, siano diventati principi etruschi.

Purtroppo, testi veri e propri di medicina etrusca non sono stati rinvenuti o perlomeno riconosciuti come tali. Possiamo ad ogni modo asserire che il settore medico, e ancor di più quello chirurgico, erano in primo piano in Etruria e di conseguenza nella Roma imperiale, se numerosi termini etruschi quali femur, tibia, fistula, tussis, ecc. hanno potuto passare nel linguaggio popolare e scientifico del mondo antico e venire usati tuttora, dopo migliaia di anni, in tutto il mondo civile.


Cicerone, è vero, aveva già effettuato, in campo medico, una netta distinzione tra quanti praticavano la divinatio e quanti seguivano i dettami della vera medicina: “…nel caso in cui si tratti della salute dell’uomo”, scriveva “ i medici non è che indovinino, ma è che si avvalgono del saper essi trarre preziosi indizi dallo stato delle vene, dal respiro del malato e da tante altre cose; così essi possono predire quanto avverrà al malato stesso, ma ciò unicamente per natura e per le loro diuturne osservazioni”.

Tutto sommato, dobbiamo però concludere che gli antichi sacerdoti etruschi e poi quelli romani, anche nel campo medico, conglobando nozioni su nozioni, tra le quali anche l’odontoiatria e la protesi dentaria**, e forse rettificando gradualmente qualche loro prassi più tradizionale e retrograda, riuscirono ad inserire nei propri vaticini attendibili prognosi circa la salute pubblica e dei singoli, nonchè a crearsi indiscutibili benemerenze per avere contemporaneamente e costantemente ordinato rigorose e preziose norme igieniche a vantaggio di tutti. In tal modo, la scientia vera, nata dalla superstizione, ebbe su questa il sopravvento, sia pure con quella lentezza di evoluzione che quei tempi lontani comportavano.

Note

*Durante il regno dell’imperatore Claudio (I sec.d.C.), su incoraggiamento del Senato romano, fu istituito un collegio di 60 elementi, l’Ordo Sexaginta Haruspicum (inizialmente forse con sede a Tarquinia), retto annualmente da un capo che ebbe l’incarico di custodirne le regole, assicurandone la sopravvivenza fino all’epoca bizantina e competendo efficacemente con il cristianesimo nei primi secoli della sua diffusione.

**Scheletri trovati nelle tombe di Tarquinia mostrano delle mascelle con denti coronati e legati a ponte con leggeri adattamenti in oro, merito della estrema abilità dei medici-orefici. Una preziosa testimonianza di antichissima e tecnicamente perfetta protesi per paradontosi, ci viene dal cranio del VI sec.a.C. ritrovato nella necropoli di Poggio Gaiella a Chiusi, adesso nel museo archeologico di Firenze.