Il Cinquecentenario della Nascita di Bartolommeo Ammannati (1511-1592)

Anche quest’anno ricorre il “cinquecentenario” di un grande fiorentino, per sua e nostra fortuna ci sarà la rievocazione, non come è avvenuto purtroppo per quello del Botticelli, nel 2010.

L’autore


Bartommeo Ammannati, Architetto e Scultore
Settignano, 18 Giugno 1511 – Roma, 13 Aprile 1592.

Bartolommeo Ammannati nacque a Settignano nel 1511. Allievo di Baccio Bandinelli e di Michelangelo Buonarroti, lavorando con quest’ultimo ne assorbì lo stile rielaborandolo secondo un raffinato manierismo; ma il suo talento eclettico fu notevolmente influenzato dall’eleganza raffinata di Jacopo Sansovino, con il quale collaborò alla decorazione della Libreria Marciana a Venezia.

Nel 1550, dopo un soggiorno a Padova dove elaborò il monumento Benavides per gli Eremitani (con schema severamente michelangiolesco) andò a Roma, dove da poco era iniziato il pontificato di Giulio III (Giovan Maria Ciocchi Del Monte, CCXXI Papa, 1550-1555). Qui si affermò come valente architetto. Collaboratore del Vasari e del Vignola, attese alle costruzioni volute da Giulio III e restaurò di sua mano il Palazzo Cardelli in Campo Marzio, di proprietà pontificia.A Villa Giulia, nel secondo cortile, si rivelò raffinato nel loggiato sopra il Ninfeo, costruendo fontane e grotte a tre livelli che costituiscono l’elemento “sorpresa” secondo un gusto tipico del Manierismo.In San Pietro in Montorio eseguì la tomba di Antonio con statua giacente, una delle sue migliori opere (1553), e quella di Fabiano, ambedue della famiglia Del Monte.
E’ nota la sua presenza a Bomarzo dove sembra abbia partecipato alla realizzazione del Giardino delle Meraviglie, consigliando nello svolgimento dell’opera il grande architetto Pirro Ligorio, colui che alla morte di Michelangelo fu chiamato a lavorare in San Pietro.

Nel 1555, alla morte di papa Giulio, fu chiamato alla corte di Cosimo I, a Firenze. In collaborazione col Vasari portò a termine la Sagrestia Nuova, lasciata incompiuta da Michelangelo, e il Vestibolo della Biblioteca Laurenziana dalla fantasiosa Scalinata.A Firenze disegnò numerosi palazzi.In Via de’ Banchi al n°4 si trova il grandioso Palazzo Mondragone (poi Ricasoli di Meleto) dalla splendida facciata con inserito lo stemma dei Ricasoli di Meleto.In Via dei Servi al n° 12, in angolo con Via del Castellaccio si trova il Palazzo Sforza Almeni, attribuito all’Ammannati; interessanti le teste di leone nei timpani delle due finestre come quelle nell’alto dei quattro stipiti. Sforza di Vincenzo Almeni fu per lungo tempo uno dei consiglieri più vicini a Cosimo I e, a titolo di riconoscenza e gratitudine, pose sull’angolo del palazzo uno stemma accollato delle armi Medici e Toledo.In Via degli Alfani al n° 48 troviamo il sontuoso Palazzo Giugni (ca. 1577) disegnato dal maestro che fu anche responsabile del progetto urbanistico della zona intorno alla Rotonda del Brunelleschi.Nella facciata del Palazzo Giugni, pervenuta alla famiglia nel 1640 per eredità dai Da Firenzuola, l’Ammannati riuscì a far convivere nuovi ornamenti arditi con altri classici e in linea con quella che era stata l’architettura fiorentina del Quattrocento. Sulla finestra del primo piano si trova lo stemma dei Da Firenzuola: gattopardo rampante, fasciato, tenente un falcetto.
Nella Piazza della SS. Annunziata abbiamo il Palazzo Grifoni, oggi Budini Gattai, realizzato dall’Ammannati tra il 1563 e il 1574; qui fece uso di mattoni a vista mostrando le possibilità coloristiche di un’architettura in cui la pietra compare solamente come elemento accessorio.

Nel 1559, grazie all’aiuto di Eleonara di Toledo, vinse il concorso per la Fontana di Piazza della Signoria, inaugurata nel 1577.La colossale e impacciata figura marmorea di Nettuno, che sovrasta la fontana, fu causa di non poche critiche all’Ammannati scultore (famosa la frase di Michelangelo: Ammannati Ammannato che bel pezzo di marmo t’hai sciupato!). I giovani tritoni in bronzo e i cavalli marini in marmo rivelano però un’ottima fattura.L’elemento colore appare contrastante nella materia: marmo bianco e bronzo delle statue, marmo colorato nell’ampia vasca. Nettuno, il cosiddetto “Biancone”, gigantesco per influsso di Michelangelo, grava statico in quel complesso che si fa invece brioso e guizzante nelle allungate elegantissime statue bronzee contrapposte con naturalezza, e vibranti di sottile sensualità grazie agli eccellenti collaboratori (fra i quali il Danti e il Giambologna) che formarono in cera i modelli del maestro.
Il meglio dell’Ammannati si manifestò però nella fontana che avrebbe dovuto essere installata nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio. A questa fontana appartenevano sei statue adesso nel cortile del Bargello: Giunone tra due pavoni, personificazione dell’aria; Cerere, rappresentazione della terra che genera acqua (che esce dai seni) e il cui nudo, dalle splendide membra carnose, spicca davanti allo svolazzante e leggero mantello; il fiume Arno; il fiume Arbia; la Prudenza, nella forma di un giovane; Flora, allegoria di Firenze. La fontana non fu mai realizzata in quanto si preferì quella con il Nettuno nella Piazza; le statue, prima di giungere al Bargello avevano ornato i giardini di Pratolino e di Boboli.

Il Duca commissionò all’Ammannati una terza fontana per la Villa di Castello con il gigantesco Ercole e Anteo di bronzo (1560, cm. 201) e vari animali all’interno della Grotta degli Animali: un campionario pietrificato tra i quali alcuni modelli in bronzo (Gufo comune, gufo reale e un fagiano), adesso sulla terrazza del Bargello.Al Bargello si trova il marmo Allegoria della Vittoria, monumento funebre di Mario Nari, un tempo in SS. Annunziata (1540-42) ed anche una Leda opera in bronzo di piccole proporzioni.
Nel 1559 Cosimo I affidò all’Ammannati la ricostruzione del Ponte alla Carraia, danneggiato dall’Arno nel 1557. Da allora il ponte resistette a tutte le piene, ma le mine tedesche lo distrussero nel 1944. Fu ricostruito nuovamente nel 1948 dall’Arch. Ettore Fagiuoli che, ispirandosi alle forme primitive, lo realizzò però diversamente.

Nel 1559, dopo due anni e mezzo di lavori l’Ammannati “gettò” attraverso l’Arno anche le tre arcate del Ponte a S. Trinita. Il ponte costruito (si pensa) su un modello di Michelangelo, raggiunge un significato d’arte che trascende la sua utilitaria funzione; ha una insuperabile armonia compositiva nel rapporto fra i sodi ed alti piloni, la linea degli archi elissoidali rialzati e quella tesa dell’ampia ma moderata curva sovrastante.
Durante il passaggio del fronte nell’agosto 1944 anche il Ponte a S. Trinita fu distrutto dalle mine tedesche, ma fortunatamente questa volta fu ricostruito tale e quale dall’Arch. Riccardo Gizdulich e dall’Ing. Emilio Brizzi.


Nel 1560 l’Ammannati fu incaricato da Cosimo I di completare e ampliare il Palazzo Pitti, divenuto reggia granducale. Con l’allargamento della facciata egli distrusse le proporzioni brunelleschiane, ma nel cortile creò il suo più significativo capolavoro.
Il grande cortile a tre piani concilia con il possente bugnato rustico della facciata del Brunelleschi, mantenendo attraverso il giuoco chiaroscurale una compattezza architettonica che ci guida all’ingresso del maestoso anfiteatro e ai giardini della collina di Boboli disegnati dal Tribolo. Non ci si aspetterebbe in un cortile così solenne dal bugnato come roccia, caro al Manierismo, certi raffinati particolari decorativi delle finestre e delle porte, ma siamo davanti alla natura disegnata e addolcita dalla mano dell’uomo, che viene ad essere pittorescamente disciplinata dall’architettura.


Al Forte di Belvedere al centro del sistema fortificato si erge l’elegante Palazzina edificata da un progetto dell’Ammannati.Nella Villa Medicea di Castello venne collocata intorno al 1563 una sua statua raffigurante l’Appennino o Gennaio.Oltrarno nel complesso monumentale del convento di Santo Spirito si trova il Secondo Chiostro, eseguito tra il 1564 e 1569, dalle colonne doriche.In Borgo degli Albizi (n° 26) troviamo il Palazzo Ramirez de Montalvo, costruito dall’Ammannati (1568) per un nobile castigliano al servizio di Eleonora di Toledo e di Cosimo I. Ramirez de Montalvo, maggiordomo dei duchi, qualifica ben retribuita e di grande prestigio, sposò Giovanna de Guevara, dama di corte della duchessa Eleonora. Alla costruzione del palazzo rese omaggio al granduca con la collocazione dello stemma mediceo inquadrato in una edicola, al centro della facciata, nella quale si vedono ancora tracce degli affreschi allegorici in bianco-nero. Nel Palazzo si trova la Casa d’Aste Pandolfini.
In Via Ricasoli ai n° 40-42 si incontra il grandioso Palazzo Gerini, dall’enorme tettoia sporgente sulla via, progettato dall’Ammannati; sulla facciata lo stemma della famiglia: troncato, nel primo un corno da caccia, nel secondo tre catene in banda.

Durante il soggiorno a Firenze Bartolommeo Ammannati viaggiò in diverse città toscane ove svolse la sua duplice attività.A Serravezza costruì il Palazzo Mediceo che ospitò Bianca Cappello; l’impianto compatto, sottolineato dalle torri angolari, si imposta attorno al cortile, ornato da un pozzo marmoreo.Nel 1569, in località Pozzo di Foiano della Chiana, venne realizzato il Tempietto di Santo Stefano della Vittoria. Tale monumento fu voluto da Cosimo I a ricordo della grande vittoria nella Battaglia di Scannagallo del 2 agosto 1554, contro le truppe della Repubblica di Siena. L’edificio con cupola e dalla planimetria ottagonale con scarsella tipicamente fiorentina, era tradizionalmente attribuito all’Ammannati ma è stato recentemente riconnesso ad una collaborazione con l’aretino Giorgio Vasari (anche di costui ricorre quest’anno il cinquecentenario della nascita).
Nel 1574 eseguì, nel Camposanto di Pisa, le statue del Redentore, della Giustizia e della Pace per la tomba di Giovanni Buoncompagni, giureconsulto e nipote di Gregorio XIII (Ugo Boncompagni, bolognese – CCXXVI Papa, 1572-1585). Sempre a Pisa nel Duomo, troviamo nella navata destra al 4° altare una lunetta con il Padre eterno.

A Volterra viene attribuita all’Ammannati la bella facciata manieristica del Palazzo Incontri-Viti in Via dei Sarti e il portico della Chiesa di S. Chiara fuori Porta San Francesco.Le frane secolari e continue delle Balze volterrane hanno danneggiato La Badia, della quale sono rimasti pochi resti del tempio e del monastero; abbiamo ancora parte della facciata, dalla tradizione attribuita a Bartolommeo Ammannati e il chiostro rifatto da Giovanni Tortori su disegno del maestro.Nel 1578 lo troviamo a Lucca dove lavora al Palazzo Bernardini o della Signoria (già opera dei primi del ‘500 di Nicolao Civitali) sistemando il corpo sinistro, compresa la bella loggia a trifore aperta su piazza Napoleone e sul cortile degli Svizzeri. Della loggia sussiste parte della pregevole decorazione originaria con fantastici motivi vegetali misti a figure umane bizzarramente deformate.
Quest’ultimo palazzo ha una leggenda da raccontare: guardando a destra del portone, alla prima finestra, si trova la cosiddetta “pietra del Diavolo”, ossia uno stipite di pietra incurvato verso l’esterno. Si dice che il Diavolo avesse convinto i signori Bernardini a costruire il palazzo dove si trovava un’immagine miracolosa della Madonna molto venerata in città. Il tabernacolo fu distrutto per far posto alla nuova costruzione, ma proprio lì dove si trovava l’immagine sacra la pietra s’incurvò e, nonostante “i numerosi tentativi di riportarla diritta”, tale è rimasta fino ad ora.

Sempre a Lucca esegue il Palazzo Bernardi-Micheletti, in Piazza San Martino. Addossato al transetto di S. Giovanni il delizioso palazzetto si prolunga in un alto muro balaustrato in cui si aprono, oltre il portale, due grandi finestre con grate in ferro ed il bellissimo muro, col giardino che racchiude, lega mirabilmente due piazze.
Secondo alcuni a Lucca è da attribuire all’Ammannati il Palazzo Orsetti in Piazza S. Maria in Corteorlandini. Il palazzo presenta su Via del Loreto e Via S. Giustina due portali fastosamente scolpiti con trofei d’arme e grottesche.

A Pistoia, nella basilica Madonna dell’Umiltà l’Ammannati completa (1585) la caratteristica cupola a forma di mela ideata dal Vasari.Nel 1582-84 esegue a Roma il Collegio Romano che contrasta con i fantasiosi e spregiudicati partiti decorativi dei precedenti edifici. Questa fabbrica austera e severa edificata per i Gesuiti fu obbligata all’Ammannati seguendo il gusto dei committenti per i quali aveva progettato a Firenze la chiesa e il collegio di S. Giovannino.La suddetta chiesa fiorentina sorge al posto di un antico oratorio dei Gori, di cui resta una grande finestra murata nel fianco destro sulla via omonima. Fu iniziata dall’Ammannati nel 1579, durante il suo ‘andare e venire’ tra Firenze e Roma, ma poi terminata da Alfonso Parigi il Giovane. All’Ammannati si deve la facciata a doppio ordine, ispirata a quelle delle chiese gesuitiche romane, ma le colonne binate richiamano l’analogo motivo del vestibolo michelangiolesco della Biblioteca Laurenziana.
In queste ultime costruzioni si acuì maggiormente il suo indirizzo michelangiolesco.

Nel 1585, ancora a Roma, attese all’erezione dell’Obelisco Vaticano ed alla costruzione di una cappella in Santa Maria Maggiore per ordine di Sisto V (Felice Peretti, di Grottammare o secondo altri di Ripatransone –Ascoli Piceno- CCXXVII Papa 1585-1590). Furono i suoi ultimi lavori importanti.In Palazzo Vecchio a Firenze il Cortile Nuovo, già previsto dal Vasari, venne eseguito dall’Ammannati e dal Buontalenti. A causa degli interventi successivi non è possibile apprezzarne l’aspetto originario che comprendeva anche una loggia e ballatoi (1581-1596). Nel Salone dei Cinquecento dalla parete destra si accede allo Studiolo di Francesco I, da qui una scaletta porta a una seconda piccola stanza, il Tesoretto di Cosimo I, preziosa creazione del Vasari decorata da stucchi del Ricciarelli e del Boscoli su disegno di Bartolommeo Ammannati. Nella sala di Leone X e nella Sala degli Elementi, invece, si trovano i camini originali eseguiti sempre su disegno dell’architetto.
In Palazzo Vecchio possiamo ammirare inoltre il bronzo che rappresenta la Dea Opi (cm 95).

Agli Uffizi sul pianerottolo intermedio dello Scalone Vasariano, si trova il bronzo Sileno con Bacco Fanciullo, attribuito all’Ammannati (copia di un marmo antico esposto al Louvre). Sempre agli Uffizi abbiamo il Marte gradivo in bronzo (1559, cm. 215) e il bellissimo marmo Leda e il Cigno. Nella Galleria Palatina a Pitti, possiamo apprezzare il Genio Mediceo in bronzo (1559, cm. 130). Nel Museo Horne si trova un bozzetto con figura virile.

Ad Arezzo la chiesa di Santa Maria in Gradi dall’armoniosa architettura manieristica, costruita dal 1592 su disegno dell’Ammannati, sostituisce un precedente edificio romanico. Il suo manierismo si ritrova anche a Sansepolcro: il Palazzo Graziani, dalla monumentale architettura cinquecentesca e il Palazzo Ducci-Del Rosso, ora Biblioteca Civica, dall’elegante prospetto.Altre due opere da ricordare sono La Venere del Prado a Madrid, bronzo del 1558 e la scultura in marmo a Jacopo Sannazaro in S. Maria del Parto a Mergellina a Napoli.Nel 1563 Cosimo I de’ Medici aveva fondato l’Accademia e Compagnia dell’Arte del Disegno di cui l’Ammannati fu eletto console.
Dei suoi appunti per un trattato di architettura ci resta un volume di disegni noto col titolo Città ideale (Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi) e due quaderni con studi di geometria pratica e fortificazioni (Biblioteca Riccardiana). Tra i quaderni riccardiani si trova anche il manoscritto sull’uso di un compasso militare conservato presso il Museo della Scienza di Firenze.


Nel 1550 l’Ammannati aveva sposato Laura Battiferri, poetessa e donna dalle molte doti.

Artista fra i più notevoli del secolo XVI, Ammannati fu il tipico interprete della “bella maniera italiana”, anche se, negli ultimi anni della sua vita, in piena Controriforma per motivi moralistico religiosi, giunse a condannare i nudi che aveva scolpito.
Fu molto criticato in vita: di lui non piaceva l’anti-classicismo. Benvenuto Cellini lo descrive come il degno seguace “dell’odiato” Baccio Bandinelli, a suo parere, ancora meno capace. Ma la sua opera di scultore che fonde elementi michelangioleschi con dolcezze di matrice veneta, lo rende uno degli artisti più importanti del manierismo tosco-romano.

Morì a Roma nel 1592 lasciando tutti i suoi averi ai Gesuiti; la sua tomba si trova nella chiesa di San Giovannino degli Scolopi a Firenze, dove sul marmo, sul pavimento del lato sinistro della navata, si legge la scritta in latino: CINERES ET OSSA / BARTHOLOMMAEI AMMANNATI / HVIVS ECCLESIAE ARCHITECTI / O. AN. MDXCII AET. LXXXII / ET LAVRAE BATTIFERRAE VXORIS S. / O. AN. MDLXXXIX AET. LXIV.


Enio Luigi Pecchioni