Paul Gégauff, la sottile lama della beffa. Intervista ad Andrea Mello
a cura di Myriam Venezia
Gestire oggi una libreria è un compito arduo, bisogna essere persone pazienti, innamorate del proprio lavoro e fortemente convinte che “la cultura salverà il mondo”. Andrea Mello è tutto questo, un libraio innamorato della letteratura, in particolare di quella francese, e della sua libreria “L’Ora blu”.
Come curatore letterario Andrea traduce autori poco conosciuti in Italia, come Paul Gégauff, uno scrittore e sceneggiatore noto per la sua frequentazione dell’ambiente della Nouvelle vague, molto rispettato da registi come Godard, Rohmer, Chabrol.
Di Paul Gégauff è stato recentemente pubblicato il romanzo Perfide Beffe, edito da Press & Archeos, attualmente in distribuzione.
Ho letto con molto interesse il libro di cui hai curato la traduzione: “Perfide Beffe” edito da Press & Archeos. Ma chi è Gégauff, autore di questo romanzo?
Uno stiletto, un pugnale, sottile, veloce, infido. Paul Gégauff è stato sempre sferzante come questo oggetto. Un elegante e sfuggente libertino. Il dandismo può essere la cifra che ne accomuna tutte le sfaccettature e presenze sia nel mondo letterario che in quello cinematografico francese. Gégauff nasce nel ‘22 in Alsazia, territorio confinante con la Germania e la Svizzera. A 18 anni pubblica un romanzo Burlesque che rimane sospeso al periodo giovanile: una storia dalla concatenazione simile alle Mille e una notte, che narra le vicissitudini e disavventure di un mercante arabo. Subito lo scrivere si contraddistingue per il tono ironico e beffardo. Tra il ‘51 e il ‘58 sono quattro i romanzi, tutti editi da Les Éditions de minuit. Ed è proprio come scrittore, in un periodo in cui il Nouveau Roman esclama la propria presenza tra le arti letterarie e a cui Gégauff sembra strizzare l’occhio, che conosce e stringe un legame con la corrente della Nouvelle vague. Un’amicizia solida è quella con Eric Rohmer col quale scrive sceneggiature o interviene nei dialoghi.
La vita è così simile al cinema che il film Il segno del leone di Rohmer ricalca un’avventura realmente accaduta a Gégauff. Truffaut, che non lo aveva troppo in simpatia, inserisce uno dei suoi libri in una scena di Fahrenheit 451: non correva buon sangue tra i due, tanto che il regista decide di bruciare quello che a detta del nostro rimane il suo miglior romanzo, Rebus. Ma si vuole anche pensare che in qualche modo il bruciarlo fosse in fondo un omaggio.
La più solida collaborazione è con Claude Chabrol per il quale firma decine di sceneggiature, soggetti e dialoghi. Gégauff ha esattamente la rapidità stilistica che appartiene alle riprese che caratterizzano i registi della Nouvelle vague: uno stile perfetto, preciso, tagliente, senza sbavature: perfettamente simile a quella che era definita camera-stylo, cioè la cinepresa nella sua immediatezza. Uscendo dal gruppo Nouvelle vague, con René Clément firma nel 1960 i dialoghi di Delitto in pieno sole, traendolo dal romanzo di Patricia Highsmith Il talento di mister Ripley. Un film pressoché perfetto.
Ma era ritroso alla fama pubblica: scriveva e poi spariva. Che sia proprio questa la forma di dandismo che lo contraddistingue? Una purezza e sicurezza nello stile, ma il resto non gli apparteneva. Non il parlare dello scrivere, ma lo scrivere. Nouveau roman, appunto, per molti uno degli Ussari francesi assieme a Roger Nimier, Antoine Blondin, Michel Deon, Jacques Laurent.
Gégauff spesso è preso a modello per i soggetti maschili di alcune pellicole. Molti dei libertini che si avvicendano nei film di Rohmer sono ricalcati sulla sua. Si vuole ricordare però in particolare quella che Godard fa interpretare a Jean-Paul Belmondo in Fino all’ultimo respiro ispirata alla figura di Gégauff, forte anche in questo caso della loro amicizia. E, saltando nel tempo, la vita si confonde e si coinvolge ancor più col cinema quando nel 1975 Chabrol dirige Partita di piacere. In questo caso Gégauff scrive cucendo su se stesso la trama del film per riconquistare realmente la sua ex-moglie, interpretata dalla vera anche nella pellicola. La mancanza di casualità nelle sue apparizioni come attore è abbastanza interessante. Sarebbe molto curioso riuscire a reperire il cortometraggio che Rohmer girò nel 1950, Journal d’un scélérat, il cui soggetto, un libertino che seduce una fanciulla, è interpretato appunto da Gégauff. Ma la pellicola è stata persa e dunque nessuna testimonianza della messinscena più realista e vera che avremmo potuto vedere del nostro.
Dato che il Don Giovanni è figura per tradizione tragica, la stessa cifra la troviamo nel 1965 nel film Il fuoco nella carne (sempre meglio il titolo originale, Le reflux) che Gégauff riscrive dal romanzo di Robert Louis Stevenson, Il riflusso della marea. E al di là del soggetto, è anche tragico l’esito della pellicola che non poté essere vista per anni perchè non ne furono pagati i diritti. Proprio questo vivere al limite, lo si vuole sottolineare, è ciò che caratterizza la figura di Paul Gégauff. Anche nei personaggi dei suoi romanzi c’è sempre un eccesso che tende ad un limite tragico: la quiete e oziosa borghesia del paese, che si incontra in Perfide beffe non è criticata, è scavalcata, è irrisa, ci se ne prende gioco. Gégauff va oltre Chabrol, è più vicino a Bunuel. Il finale non è consolatorio. Tanto che, tornando dal cinema e dalla scrittura alla vita, quando nella notte di Natale del 1983 viene pugnalato a morte, la storia vuole che abbia pronunciato “Tue-moi si tu veux, mais arrête de m’emmerder!”
Come ci si approccia alla traduzione di un romanzo come “Perfide beffe”?
In generale, non essendo un traduttore professionista, il mio approccio è da lettore e “cacciatore”. Sono sempre curioso di sapere ciò che è il contesto attorno al romanzo. C’è sempre un eco riflesso dell’autore e soprattutto di quel territorio che lo circonda. Un libro è sempre più vasto di quello racchiuso nelle sue pagine. Per questo scrivo che mi sento “cacciatore”, perché silenziosamente bisogna esplorare l’attorno, il terreno oltre le parole. Ad esempio, nel caso di Perfide beffe, Gégauff inserisce scene di personaggi realmente esistiti, il ché rende a volte comica e tragica allo stesso tempo la scena (penso ad esempio alla tavola a cui cenano due personaggi, marito e moglie e che separati da una tenda nera si parlano unicamente con lettere inviate anche in presenza).
Come scegli gli autori da tradurre?
Solo per piacere. Era accaduto per Rohmer con la traduzione dei suoi racconti (Bricconcelle di porcellana, Ed. Tassinari) e del suo saggio sulla musica (Da Mozart a Beethoven. Saggio sulla nozione di profondità nella musica, Ed. Mimesis). Gégauff se vogliamo è una conseguenza perché è stato per una parte di vita una figura importante per Rohmer, un amico, un compagno di avventure. E forse è proprio attraverso Gégauff che si può conoscere meglio il Rohmer iniziale. Valido anche il contrario, per forza di cose. Se ne sentono delle tracce ad esempio nella scrittura a quattro mani del primo bocciolo di quello che sarà Il ginocchio di Claire, meravigliosa pellicola di Rohmer. Apparve un racconto, Le roseraie, nel 1951 in Cahiers du cinéma. Come non accade nelle successive versioni, la protagonista muore, o meglio decide di morire. Se ne può rintracciare l’esito nella scelta guidata dalla penna di Gégauff? Viene voglia di dire di sì, dato che nelle successive versioni, in racconti e su pellicola, c’è un esito per lo meno non tragico.
Questo era Gégauff, appunto, influente, tagliente, tragico. Tanto che Rohmer decise a un certo punto di terminare la loro amicizia, sentendosi finalmente più libero. D’altro canto, anche Rohmer ha influito su Gégauff ad esempio con la sua passione per le Petite filles della Contessa de Segur (di cui c’è un film girato dallo stesso, introvabile anche questo), fanciulle giovanissime a cui veniva insegnata la morale a seguito di infantili disavventure. In Perfide beffe, Gégauff inserisce una scena di battibecco nato da una incomprensione in un gruppo di bambini. La figura dell’adulto però non porterà il finale verso una morale giusta, ma creerà ancora più scompiglio. E questo appartiene proprio allo stile Gégauff.
I libri che scegli di tradurre sono libri che conosci bene o cerchi di confrontarti anche con opere e autori mai “studiati” prima?
Nel caso di Gégauff non esisteva niente riguardante lui in Italia. Per altro, quando ho iniziato a cercare, mi sono accorto che anche in Francia era difficile trovare qualcosa di approfondito. Niente mi può attrarre di più! Un bellissimo testo a mio avviso l’ha scritto Arnaud Le Guern, con Une âme damnée – Paul Gégauff. Un libro particolare, in forma di romanzo quasi autobiografico di un incontro di due che condividono la stessa sorte dannata della vita. Poi, si trovano le notizie, si cercano negli archivi: tra gli archivi dei giornali ad esempio si viene a sapere che c’è stato il furto della Gioconda, e forse è stato ad opera di un certo Paul Gégauff! Questo mi entusiasma del percorso di ricerca in territori che non hanno ancora tracce segnate.
Oltre ad essere un autore/traduttore sei il librario di una stupenda libreria; cosa significa oggi avere una libreria e fare i conti con le evoluzioni della diffusione della carta stampata?
Quest’anno sono circa dieci anni che esiste L’Ora blu. il confronto, bello, è col lettore: non bisogna mai perderlo di vista. I libri, sì, tanti, troppi, non dovrebbero essercene così. I lettori? Loro arrivano con curiosità, col loro tempo, con i loro percorsi. Forse sono più nascosti. Un libro è sempre un dialogo, non è mai una scelta totale a senso unico.
Secondo te come è cambiata l’importanza ed il ruolo della libreria nella vita frenetica di oggi?
Sai quanti clienti entrano e magari squilla il cellulare? Prima si scusano e poi o lo silenziano o escono e, li sento, dicono …scusami, sono cinque minuti in libreria ti chiamo dopo. Tutto si acquieta. Quasi quasi senti che tirano anche un respiro in più. L’Ora blu è il passaggio tra il giorno e la notte: a maggio, in campagna, puoi sentire per pochissimi minuti un silenzio assoluto, nessun rumore. Poi tutto riprende il proprio corso, quello notturno. Ma per un attimo tutto è rimasto sospeso, presente ma assente agli altri. Come la lettura, come un libro sfogliato. Quanto possiamo dilatare questo attimo?
Domanda non scontata per un traduttore e un libraio, qual è il tuo romanzo/libro/saggio preferito e perchè?
Ho amato tantissimo un libro di John Berger, My beautiful che parla del guardare. Sono un insieme di riflessioni, foto di statue di Giacometti e presenze femminili. È così difficile usare poche parole, il parlar troppo è lo spessore del contemporaneo. Eppure in questo libro Berger ci riesce. È alla preghiera, alla parola della preghiera che lo associo, non tanto in termini religiosi, quanto come capacità di espandersi e squillare dal poco, dal sottile.
a cura di
Myriam Venezia
Andrea Mello
(immagine tratta da monicamelendez.it)