La tua microdose quotidiana. Intervista a Valerio Dalla Ragione
a cura di Myriam Venezia
Valerio Dalla Ragione, classe 1995, giovanissimo ha lasciato la sua Anghiari in provincia di Arezzo per partire alla volta di Copenaghen e laurearsi alla Copenaghen Business School.
Valerio ha parallelamente alimentato le sue passioni, tra queste spicca sicuramente la scrittura. Per l’editore Press&Archeos ha già scritto un romanzo Fuga a Cinque Voci; edito nel 2021 è un viaggio tra i sogni, l’inconscio e i sentimenti più reconditi di un uomo. Dopo l’uscita di questo primo romanzo, ha deciso di dedicarsi ad un altro progetto, un secondo romanzo che rientra nella collana post- alchemica dell’editore, pubblicato nell’Aprile 2023 si intitola La tua Microdose Quotidiana.
Proprio in merito a quest’ultimo nuovo romanzo, ricco di colpi di scena, atmosfere surreali e intrecci tra il mondo digitale e reale che verte la nostra intervista al giovane scrittore.
Il romanzo ha un forte impatto, in primis visivo a mio avviso anche per la tua scelta di arricchire la storia con delle illustrazioni generate da Intelligenza Artificiale che, in un certo senso, avvalorano quella che è la componente digitale all’interno della trama. Come ti è venuta questa idea?
E’ stata una scelta difficile e conflittuale, per tutti gli ovvi e stessi motivi per cui gli abitanti della rete si stanno trucidando a parole da almeno sei mesi, in maniera del tutto ininterrotta. Non è solo la componente digitale interna al romanzo, ma la componente mostruosa del digitale, o per essere specifici l’uncanny valley – l’effetto per cui ciò che non è umano ma gli è abbastanza simile appare mostruoso: il tasso di perfezionamento delle illustrazioni (tra altre forme d’arte) nelle intelligenze artificiali corre ad una velocità tale che le immagini che abbiamo scelto di utilizzare sono totalmente obsolete e molto più distanti da quelle che, prodotte al giorno d’oggi, sono delle riproduzioni talvolta indistinguibili da fotografie. Per “giorno d’oggi” intendo oggi stesso, in paragone a solo pochi mesi fa, e domani chissà cosa vedremo. Diciamo che le A.I. “popolari” hanno compiuto in sei mesi quel salto fra la pittura rupestre e quella iperrealista che a noi ha richiesto diecimila anni – ma per questo romanzo va benissimo, in quanto uno dei suoi perni è una mostruosità cognitiva di fondo, sia on- che offline, e così anche le illustrazioni hanno dato il proprio contributo in questa direzione, sia pure con la loro irrisolvibile obsolescenza.
Il protagonista del romanzo è un ragazzo, molto introverso e grande fruitore del mondo digitale, ha una sua vita sia online che off line, ha un carattere autobiografico oppure è semplicemente la voglia di raccontare il mondo dei giovani?
Credo che non esista un romanzo che non sia autobiografico: certi scrittori riescono semplicemente a traslare sé stessi in cose apparentemente del tutto aliene al loro vissuto fattuale, sia che si parli di romanzi storici che di epopee interstellari. Questo sempre a condizione che siate interessati a scrivere un romanzo che abbia almeno un briciolo di emozioni genuine.
Sì, la componente autobiografica è presente, e forte. Forse la più esplicita della mia produzione fino ad ora – non ho cercato nemmeno di nasconderla, di certo diluita in un abbraccio di cinismo e paternalismo che ho ricercato nella voce narrante. Non credevo ne sarebbe nata una figura introversa, ma di sicuro è interessante vederla con gli occhi degli altri.
Circa il “raccontare il mondo dei giovani”, purtroppo è un’impresa sempre più difficile per lo stesso discorso del tasso di cambiamento tecnologico di cui sopra: anche se volessi, probabilmente non avrei alcuna idea di ciò di cui è fatta la vita di un diciannovenne nel 2023, così come i diciannovenni del 2023 diventeranno a loro volta obsoleti rispetto ai nuovi giovani più in fretta di quanto lo sia divenuto io, e via dicendo.
Leggendo il romanzo ho colto delle ucronie, a chi o cosa ti sei ispirato?
A nessuna in particolare, se devo essere onesto. Philip Dick è il mio scrittore preferito, ma non mi sono ancora avvicinato al suo capolavoro ucronico, La Svastica sul Sole. Credo che immaginarsi passati e presenti alternativi (il futuro lo è sempre per principio) venga naturale a chi legge o in generale si interessa molto di Storia. Lo stato attuale delle cose può apparire al tempo stesso come assolutamente necessario o del tutto casuale; necessario perché risultato necessario degli avvenimenti precedenti, casuale perché in molti dati e cruciali momenti storici si presentano in gioco fattori che non erano stati presi nella dovuta considerazione fino a quel punto, o che non potevano esserlo per la loro irreperibilità. Un deus ex machina che col tempo ha assolutamente senso, ma che fino alla tal data rimane lo zimbello della vulgata. A questo punto lascio la palla a chi se ne intende più di me, o a chi semplicemente ha voglia di scannarsi sul determinismo, il libero arbitrio, cose del genere. A me diverte scrivere romanzi – se mi intendessi di qualcosa pubblicherei saggistica.
L’intreccio di Storia e finzione, il digitale che entra nel mondo “vero”, l’atteggiamento dei ragazzi nei confronti del mondo digitale e l’attenzione che essi vi pongono è uno degli aspetti più importanti del romanzo, il tema centrale, è possibile definirlo più distopico o utopico?
Assolutamente distopico. E’ difficile scrivere qualcosa di bello dell’utopia, perché già bella da viversi.
Passi per una città a te sconosciuta e incontri una vecchia amica; si congratula per le tue pubblicazioni, ma sottolinea che d’altra parte lei non potrebbe mai scrivere, in quanto già felice.
Non aveva torto, e non glielo diedi mai: lo stesso vale per gli argomenti di cui scrivere.
Qualche annetto fa si cercò di dare vita al solarpunk, la risposta positiva alla distopia: futuri raggianti in cui l’uomo ha risolto i problemi che come sempre lo affliggono. Da un punto di vista morale è un tentativo che rispetto con tutto me stesso – l’ombra che tutti noi occidentali abbiamo nella mente pensando al futuro è un mostro onnipresente che ci divora (o forse sono solo io che lo proietto). Ma la domanda rimane: allora di cosa scriviamo?
“La Tua Microdose Quotidiana” (titolo abbreviato, non ditelo al giro) è assolutamente distopico, in una sua dimensione banale e adolescenziale. Il fatto che siano adolescenti a navigarvici è da una parte un tentativo di creare qualcosa di autentico e senza altri fini se non conoscere e convincere sé stesso (caratteristica della gioventù), e dall’altra una celebrazione di tutta la demenza giovanile in rete che, purtroppo o per fortuna, non verrà mai studiata, archiviata, come invece avviene per il resto: esiste un mondo, fra quelle miriadi di insulti e colpi di genio privi di senso, che è completamente imperscrutabile, e corre a passi incredibilmente più veloci di chi abbia intenzione di comprenderlo e catalogarlo. E questo parlando di e concentrandomi solo sull’esperienza personale, sul tramonto di MSN e Myspace, e gli albori di Facebook, e gli anni di Pax Facebookiana che li hanno succeduti (non sembrava esistere altro). Di 4chan.
Non mi immagino quindi cosa possa circolare in questo momento e in quale luogo. Il tema del fittizio che scivola nel vero e viceversa diviene poi una conseguenza del potenziale delirante contenuto nello svarione di cui sopra.
Non ci sono compromessi, vie di mezzo o mezze misure, ed è lo stesso principio che ho voluto seguire per scrivere questo romanzo.
(a cura di Myriam Venezia)