Gli Etruschi di Castellina in Chianti

Territorio montuoso, selvaggio ma non incolto, punteggiato da pievi e oratori spesso occultati alla vista, come rarità nascoste, da maestosi alberi silenti, dove sotto le fredde navate, tra affreschi che affiorano e capitelli romanici si conservano gelose memorie e misteri. Nei borghi, un tempo etruschi e romani, poi castelli delle famiglie feudatarie di origine longobarda, ci accompagnano le facciate scure e stemmate dei loro palazzi, dove tra viuzze ed archi sembra di perdersi nel passato per non uscirne mai più.
Furono gli Uomini di Rinaldone, seguiti dai Celto-Liguri a stanziarsi per primi nelle terre chiantigiane, come testimonierebbero i reperti eneolitici ritrovati nel comune di Tavarnelle Val di Pesa e a Casanova di San Fedele nel comune di Radda in Chianti. Ma furono gli Etruschi i primi a colonizzare storicamente questa regione tra Firenze e Siena, apportando il loro bagaglio di cultura e civiltà.

Le diverse testimonianze archeologiche e toponomastiche, attestano in questo spazio di territorio chiantigiano la diffusione di insediamenti risalenti al primo millennio a.C.: sono il tumulo artificiale di Montecalvario, le tombe populoniensi del Poggino presso Fonterutoli o le tombe di Gaggiola di Quercegrossa, come pure i reperti di Rèncine e Busona che insieme ai numerosi ritrovamenti etrusco-romani ci spingono a visitare questi luoghi.
La posizione geografica di Castellina in Chianti è particolarmente interessante; le vie naturali segnate dal corso della Pesa e della Greve la collegano col Valdarno Fiorentino e un antico itinerario etrusco passante per Monteriggioni la metteva in comunicazione con Volterra, della quale sembra fosse una città satellite, un fulcro inserito nel cuore dell’Etruria, come dimostrano i numerosi reperti archeologici di tipologia volterrana rinvenuti nella zona. Nelle sue immediate vicinanze sorgeva infatti Salingolpe, città etrusca, poi colonia romana che, secondo G. Righi Parenti, era l’antica Biturhia delle Tavole Peuntingeriane, distrutta nel VI secolo durante l’invasione longobarda.

fig. 1

 

Proprio sopra il casolare colonico dello Spadaio, sulla strada che da San Donato in Poggio porta a Castellina, tra ondulati saliscendi ora nel bosco, ora tra campi e colli a coltura promiscua, esiste una collina (fig. 1) molto interessante e tutta da valutare che chiameremo “la collina del Tumulo dell’Argenna” (sopra la diruta chiesa di San Silvestro, sull’antica Strada Maremmana,); giunti nel luogo, la prima cosa che viene in mente è che all’interno si possa nascondere una tomba etrusca, ma considerando attentamente la tipologia del terreno, nonché la vastità del panorama visibile dalla sommità, ci sembra più probabile l’attribuzione del sito ad un luogo sacro, dove poteva esser ubicato un tempio cultuale.
Continuando ancora verso la Castellina, prima di arrivare a Casa Vico, si gira a sinistra per un viottolino che ascende alla Macia Morta. Sulle pendici della collina si trovavano ancora resti in superfice di mattonato e frammenti fittili (1971), e dei filari di pietrame a secco (1985). Questa zona alta della Castellina apparteneva alla città di Salingolpe, dove a Casa al Vento aveva nel recinto murario visibile, ossia l’acropoli, la sua area sacra e dove lo svuotamento di un pozzo profondo quasi 30 metri, consentì di recuperare una stele in pietra serena, nonché un frammento di base di colonna marmorea, che attesterebbe l’esistenza di un tempio. Nella zona fu trovata anche la testina in pietra di Apollino, visibile nel locale Museo Archeologico del Chianti Senese (a Castellina).

Salingolpe: il nome della cittadina etrusca (ma che nessuno storico antico menziona come tale), è presente negli scritti settecenteschi di Filippo Buonarroti e nel secolo successivo in quelli di Luigi Biadi, forse originariamente dovuto a qualche voce locale riportata dalla tradizione.
Pervasa dai penetranti aromi del Chianti, in posizione dominante sopra un colle fra le valli dell’Arbia, Elsa e Pesa, sorge Castellina in Chianti. Feudo dei nobili di Trebbio passò poi sotto Firenze, che nel 1400 la cinse di mura, di cui rimangono resti notevoli sul lato orientale, dove troviamo la Via delle Volte, caratteristica strada coperta costruita sotto il livello stradale del paese e addossata alle antiche mura.
Castellina in Chianti, fortezza etrusca a cavallo della strada che portava a Fiesole, è famosa per il suo monumento principale: il Tumulo di Montecalvario, grande costruzione coperta da una collinetta di terra circondata da pini, con quattro tombe disposte a croce orientate secondo i punti cardinali e costruite in blocchi di pietra alberese rozzamente squadrati.


fig. 2

I quattro ipogei perfettamente allineati astronomicamente, permettono ai raggi del sole al tramonto degli equinozi di primavera e d’autunno, di penetrare all’interno della tomba Ovest diffondendo una luce dorata molto suggestiva.
Il tumulo di Montecalvario è uno dei principale esempi di tombe etrusche a corridoio con cellette laterali. Le camere sono con pseudovolta a filari aggettanti congiunti in alto da un lastrone di copertura come appunto la sagoma ogivale delle tombe megalitiche a dromos che si trovano in Spagna, alle Baleari e Malta. Questi quattro ipogei della collina di Montecalvario vengono fatti risalire, per convenzione accademica, alla fine del VII a.C., al periodo orientalizzante dei Principi Etruschi.
Analizzando le vicende che riguardano il ritrovamento del tumulo, scopriamo un lungo susseguirsi di eventi che hanno inizio nel ‘500, quando Castellina in Chianti era uno dei castelli fiorentini al confine con Siena.

Proprio nel tumulo di Montecalvario si è voluto riconoscere la fonte ispiratrice di un disegno attribuito a Leonardo da Vinci (fig. 2) dove è riprodotto un progetto per la costruzione di un grandioso mausoleo. Che una tomba etrusca sia stata scoperta nel 1507 a Castellina è un dato documentato all’inizio del XVIII secolo da Filippo Buonarroti della famiglia del grande Michelangelo, meno certa, tuttavia, è l’attribuzione di quel ritrovamento al tumulo di Montecalvario: forse potrebbe invece essere la descrizione di una delle tombe della necropoli del Poggino a Fonterutoli.
Montecalvario è embrionalmente la capanna circolare degli etruschi che nasconde nel suo interno, non sotto uno strame di paglia ma sotto un cumulo di terra, le comode dimore dei morti, distribuite e arredate come l’abitazione dei vivi. Dalla cella di una delle camere proviene una schiacciata testa leonina in pietra serena, con le fauci spalancate e la lingua pendente che sembra fosse originariamente inserita a metà altezza presso uno stipite della porta d’ingresso della tomba, con funzioni di spaventare gli eventuali profanatori sia di tenere lontani gli spiriti del male dalla casa dei morti.

A Castellina fu trovato un bassorilievo bronzeo di “assunto narrativo”, che insieme alle tombe a camera ci mostra uno scenario dalla duplice influenza di Volterra e di Chiusi sulla Castellina, quasi un processo di concorrenza o forse di collaborazione fra le due lucumonie (M.Grant, Le Città e i metalli, 1980, pag.266).
Sulla strada che dalla Madonna di Pietracupa va verso la Chiantigiana, troviamo Sicelle. Si può dire che il toponimo Sicelle sia derivato dal personale etrusco Secnes che latinizzato in Secina, ebbe poi come diminutivo Secinulae da cui l’attuale Sicelle. Secondo altri il nome deriverebbe da sigillum, perché il luogo avrebbe rappresentato una sorta di confine dove si metteva un sigillo per il transito delle merci, una specie di lasciapassare.

Sull’altura di Monte Castelli di Sicelle, a quota 466 mt. s.l.m., che fa da contrafforte al gruppo della Castellina, furono recuperati (1974) materiali ceramici riconducibili al periodo ellenistico e frammenti di terracotta aretina del I secolo a.C., che confermerebbero l’attribuzione del luogo ad uno stanziamento etrusco-romano sulla direttrice Castellina-Fiesole. Più recentemente nel 1996 il gruppo delle Guardie Ecologiche di Greve ha ritrovato un proiettile da fionda in piombo, chiamato in gergo ghianda missile.
Da non trascurare che proprio sotto la cittadina della Castellina, verso levante, si trova la Necropoli delle Sorgenti dell’Arbia: una serie di tombe franate e saccheggiate nel passato, con stretti corridoi d’accesso scoperti (fig. 3).

fig. 3

 

A quattro chilometri a sud di Castellina, vicino a Fonterutoli, nella località il Poggino, in una collina adibita esclusivamente a necropoli, furono ritrovate cinque tombe a camera edificate con pietra alberese e travertino (importato da altro territorio), risalenti al periodo orientalizzante-arcaico (VII-VI sec. a.C.). La tomba n° 1 ha restituito reperti fittili di ceramica greca a figure nere, mentre la più monumentale (la n° 3), con corridoio d’accesso, grande vestibolo e successiva camera rettangolare (mt. 3 x 2.70) con pilastro centrale, i resti di un’urna cineraria con tracce delle ceneri del morto e placchette intagliate d’avorio di una cassapanca o di un carro da parata. Considerando che la tipologia delle tombe ricorda fortemente quelle delle necropoli di Populonia, si può ipotizzare che la zona sia stata abitata da coloni provenineti da tale città; forse un gruppo di agricoltori al seguito di una ricca famiglia di principi etruschi.

Da Rèncine, sempre a sud di Castellina, provengono reperti riferibili al periodo orientalizzante, mentre a Busona furono rinvenute tre tombe a pozzetto tardo-villanoviane, con olle d’impasto databili all’inizio del VII sec. a.C. A pochi metri dalle tombe si trova un esempio di Santuario in Necropoli, formato da una piattaforma di lastroni di alberese su cui giacevano ossa di animali e frammenti di vasellame tardo-geometrico e di impasto grezzo.
Altro luogo interessante è quello di Gaggiola di Quercegrossa (quasi alle porte di Siena), dove nel 1977 vennero rinvenuti i resti di un insediamento di età tardo-etrusca con relativa necropoli, segnalato dalla presenza di frammenti ceramici di impasto e a vernice nera, e lungo il torrente Bozzone interessanti tracce di argini per la canalizzazione delle acque. Infatti, notevole era l’esperienza che gli Etruschi possedevano nel campo delle tecniche idrauliche destinate all’agricoltura o all’approvvigionamento idrico. Del resto i lavori di canalizzazione della Valle Padana, per liberare la regione dall’invasione delle acque, fu opera etrusca (A. Solari, Vita pubblica e privata degli Etruschi, Firenze 1931, p. 58).

Giovanni Spini
Enio Pecchioni