Il Fuoco e il Femmineo. Intervista a Daniela Braccini

A cura di Myriam Venezia

Daniela Braccini, classe 1952, collabora attivamente dal 2009 con Press&Archeos.

Il suo primo romanzo è un libro illustrato da Alice Rossi e dedicato ad un pubblico più giovane: “San Galgano e la spada nella roccia”, ha poi continuato a scrivere saggi e libri su diversi argomenti, tra questi troviamo un ricettario molto curioso “Elisir di fata, decotto di comare. Ricette o incantesimi in cucina”, un saggio dai tratti mistici e pregno di tradizioni “Quando Halloween non c’era e la paura era una cosa seria”.

I suoi libri hanno la capacità di trasportare il lettore in atmosfere mistiche e magiche, è come ritrovarsi davanti ad un focolare ad ascoltare le storie e le leggende dalla voce delle nostre bisnonne.

Proprio su questi saggi verte la nostra intervista, per capire quali sono stati e quali sono i motivi che spingono Daniela Braccini a fare ricerca su temi così particolari e cosa si nasconde dietro questi saggi che trasudano una sorta di calore familiare di un sapere domestico e ancestrale tramandato da generazioni.

I tuoi libri hanno un fil rouge, sono incentrati sulle tradizioni e sul misticismo. Da dove nasce l’interessamento etno-antropologico verso queste tematiche? Ci sono stati studiosi che l’hanno avvicinata a questi temi, mi viene da pensare ad Ernesto De Martino, famoso antropologo che ha scritto un saggio proprio sul rapporto Sud e Magia?
La cosa è più semplice di quanto si creda. Sono abbastanza “datata” quindi ho avuto tempo sufficiente per osservare, leggere e pensare, ma soprattutto farmi delle domande e cercare delle risposte. E questo credo sia l’approccio giusto e “scientifico” per qualsiasi desiderio di conoscere il mondo. Ho avuto la fortuna di scegliere degli studi classici e questo aiuta molto. Di contro non sono colta abbastanza da potermi riferire a veri pensatori come il De Martino da te citato.

Citazioni da intervista a Daniela Braccini


Hai scritto con Press&Archeos un volume “Elisir di fata e decotto di comare”, volevo sapere come nasce questo volume sicuramente interessante e curioso che fonde due mondi apparentemente diversi.
I miei libri nascono da riflessioni personali, stimolati da una sensibilità affinata dai libri più diversi e dai casi familiari. C’è poi l’editore, che spinge sempre per approfondire soggetti curiosi, inediti, di confine.

Un altro volume che mi ha colpito è stato sicuramente “Quando Halloween non c’era e la paura era una cosa seria”. Leggendolo mi ha riportato alla mente alcuni frammenti dei miei studi classici. Innanzitutto il tema della Paura della morte. Nei secoli addietro il tema è stato sviscerato e metabolizzato come meglio si poteva, lo ritroviamo nei poemi epici come momento di passaggio iniziatico, poi nel medioevo e nel rinascimento assistiamo quasi ad un racconto della morte che viene normalizzato accomunando il mondo dei vivi a quello dei morti e mi viene da pensare alle Danze macabre ma possiamo continuare all’infinito. Zygmunt Bauman in un suo saggio definisce la paura della morte come un fenomeno originario e incontaminato, quella della morte è una delle paure che rendono l’individuo più vulnerabile dal momento che non si ha la percezione di una vita dopo la morte (1). Sicuramente in passato è stata esorcizzata attraverso miti e leggende. Cosa ne pensi? Ma soprattutto come pensi che le nuove generazioni si pongano oggi nei confronti della paura della morte e del mistico in generale?
Sì, perché proprio il primo libro “Quando Halloween non c’era” nasce dalla mia necessità di fare dei ricordi d’infanzia qualcosa di reale affinché mio nipote, o semplicemente i ragazzi, avessero la percezione di un mondo che non esiste più oggi. Volevo che non andasse perso quel senso di stupore e di timore verso la realtà che le conquiste tecnologiche dell’ultimo secolo hanno spazzato via insieme ad un grande pacchetto di emozioni e consapevolezza. Quella percezione che io da piccola ho appena fatto in tempo a sentire.
Lì dentro ci sono le mie nonne; quella che raccontava ai nipoti scettici di aver visto davvero un fantasma da bambina e quella che testimoniava della vita umile e operosa sui monti, con i giorni dell’anno scanditi da usanze e credenze radicate nella consapevolezza quotidiana della morte sempre a fianco degli uomini e delle loro bestie.

Sempre nel sopracitato libro si parla anche del ruolo del fuoco e in generale anche della toponomastica dei luoghi che rimembra di episodi o di leggende del passato. Sono sicuramente spunti interessanti che hanno radici profonde, in un bagaglio culturale che affonda le proprie radici nella cultura etrusca e forse anche nelle culture precedenti. Come percepisce il connubio storia-misticismo che si è evoluto nel tempo?
Un argomento questo di enorme importanza perché la dinamica delle emozioni è cambiata tantissimo nel mondo attuale. Sembra che le nuove generazioni non ammettano più l’eventualità della Morte, vivono come se non li riguardasse, ma a parte il fatto che nel nostro essere umani nulla è cambiato io credo che il negarla ci impedisca anche il grande conforto di esorcizzarla. Secondo me il grande disagio che a volte si percepisce nei giovani ha radici anche in questo diniego.
All’interesse di Lorenzo [editore, ndr] per questi quadretti è seguito di logica approfondire di più il tema della Paura e della curiosità dell’uomo in generale per il soprannaturale. Ma quello che veramente è il fil rouge, il punto di osservazione particolare di quasi tutti questi piccoli libri è la Donna, la figura femminile.

Nel volume “Fate o Befane, Streghe o guaritrici”, e non solo, poni al centro del discorso il ruolo della donna e come essa cambi attraverso i secoli e le mentalità, il cosiddetto background culturale. In un periodo così particolare in cui le donne sono spesso purtroppo vittime, secondo te alcune accezioni che vengono attribuite alla donna in passato possono ancora essere valide o col tempo si sono trasformate?
Se mi chiedi come mi è venuto in mente di associare l’immagine delle Fate a quello delle guaritrici ti rispondo sinteticamente che la mia nonna materna, quella del “fantasma”, era una donna che con erbe, decotti e impiastri guariva le persone del suo paesino, una donna per cui religione e soprannaturale erano pane dell’anima in modo naturale. Ciò che accomuna queste due categorie di donne, fate e guaritrici, si riassume nella qualità peculiare della figura femminile quale archetipo: ovvero la capacità di Trasformazione.
Dove un dolce elisir ti cambia l’umore, dove una tisana ti rende la salute, lì si è operata una trasformazione e l’artefice principale è una donna perché a Lei la natura ha dato la più emblematica delle capacità trasformative: la maternità. Nel suo corpo, nel buio profondo, e quindi nel “mistero”, due elementi germinativi si trasformano in un individuo nuovo.
E ogni trasformazione è legata all’energia, di qui il grande sodalizio con l’elemento Fuoco che un tempo, storicamente testimoniato dagli Etruschi in poi, era proprio legato alla figura femminile. Ricordiamo fuoco-focolare-dea Vesta, senza dimenticare che il fuoco è l’altro caposaldo di qualsiasi trasformazione in natura.

Gatto nella notte in un giardino romantico, sfere di terracotta, damigiana con tappi di vino


Ho cercato di capirci qualcosa scrivendo “La cucina come ambiente vitale”. Miti e leggende ci aiutano a capire il mondo che viviamo e un tempo, quando i cambiamenti erano più lenti, questi davano all’uomo un tracciato certo su cui decodificare le sue certezze e le sue paure; c’era il mondo dei vivi che si piegavano sotto il pensiero della morte e c’era accanto il mondo dei morti che in certi giorni bramavano interferire. Miti e leggende fornivano antidoti ed esorcismi.
La Luce Elettrica, insieme a tutte le nuove tecnologie, sembra aver spazzato tutti i dubbi insieme alla paura, tutto è spiegabile, chiaro, prevedibile. Dunque l’uomo non è più vulnerabile? Io non credo. Le emozioni sono un bagaglio connaturato all’uomo, possono cambiare strada, possono essere fraintese o misconosciute ma non svaniscono.
Forse semplicemente, in questo mondo che si modifica costantemente e troppo velocemente, l’individuo può “vedere” pochi temi alla volta. I più sensibili sono attirati dalla difesa dell’Ambiente e degli animali con la coscienza di quella spinta predatoria che è stata propria dell’uomo finora. Oppure si concentrano sugli equilibri degli Stati o il fabbisogno alimentare, pensato globalmente ma dubito che le nuove generazioni abbiano il tempo di occuparsi di introspezione in linea generale.

Per quanto riguarda la questione femminile, dopo la presa di coscienza degli anni 70 del secolo scorso, le rivendicazioni e l’attenzione al problema di tutte, a livello mondiale, la strada è solo intrapresa. Fra esagerazioni, ritorsioni maschiliste e intoppi di percorso l’obiettivo di vedere ogni singola donna come Persona sembra ancora utopia. Ma la strada è iniziata, questo giogo indecente di un patriarcato fatiscente e non più funzionale nemmeno alla società (lo è stato per tutta la “storia scritta” dell’umanità!) è destinato a sparire. Avrà bisogno di tanto tempo perché l’evoluzione culturale degli uomini è lenta, molto più di quella tecnologica ma ci sarà.
Un dubbio resta: se sarà capace l’elemento femminile di salvare, nel cambiamento che ci attende, la grande forza insita nella sua natura: la consapevolezza di essere artefice di un “miracolo”. Per quanto la scienza possa spiegare la vita, saremmo persi se perdessimo l’emozione della meraviglia di fronte a un nuovo nato.
Gli Uomini nel corso dei secoli hanno chiamato le Donne Fate o Streghe perché hanno sempre avvertito qualcosa di soprannaturale, fuori dall’ordinario in noi, qualcosa di magico.
Non perdiamolo. Dobbiamo essere capaci di mantenere, dentro e oltre la scienza, quella porta aperta
sulle zone d’ombra dell’anima, sulle tante “cose fra cielo e terra” che non saranno mai spiegate.

a cura di Myriam Venezia

1) 1 Zygmunt Bauman “Paura Liquida”, Editori Laterza, 2008

immagine di strega con gabbia e fumo durante un incantesimo. Fate o streghe, guaritrici e befane

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