Il dì di festa

14,00

di Mario Ajazzi Mancini

Apparentemente un piccolo libro di racconti, o meglio di cronache, per lo più dedicate all’estate; interpolato da traduzioni e momenti di pensiero. Forse, il tentativo di accostare il mistero della vocazione – tema lungamente corteggiato –, in verità di celebrarlo nel modo della sua mancanza di soluzione, attraverso un altro e più fitto mistero, quello dell’amore. Non tanto per ravvisarvi l’arcano di un’eccitazione emotivamente decisiva – i gesti scomposti degli innamorati – che dia corpo alla narrazione, quanto per cogliervi quella dimensione di festa, spensierata e senza scopi – il fare che non fa niente – che rende la vita vivibile, ricongiungendola alle parole da cui non si distingue; avventurosa perché risolta nella stessa scrittura che la sostiene e alimenta. Opera senza opera, che si fa cancellandosi, per affermare che il sogno dello scrittore – trattenere la vita attraverso segni e lettere, per raccontarla – non è che il sogno felice, e il desiderio soddisfatto, della pagina bianca, esposta al pudore dello sguardo per essere letta in quanto davvero illeggibile.

Descrizione

Mario Ajazzi Mancini
IL Dì DI FESTA
Press & Archeos, Firenze 2024
ISBN 978-88-32211-90-0
13×19,8, brossura con alette, pp. 118

Mario Ajazzi Mancini. Psicanalista e scrittore a Firenze. Docente presso la Scuola di Psicoterapia Comparata. Si occupa di psicoterapia, psicanalisi, di traduzione, con particolare riguardo all’opera di Freud, alla poesia di lingua tedesca (Kafka, Rilke, Celan), e al pensiero francese contemporaneo (Lacan, Derrida, Blanchot). Ha pubblicato oltre a saggi e traduzioni, un volume di racconti (Rapaci, Press & Archeos, 2019) e due volumi di narrativa (L’esordiente innamorato, Amores pasados, Castelvecchi, 2021 e 2022) È direttore, con Matteo Bonazzi e Silvia Vizzardelli, di SKIA – La scrittura del fantasma. Summer School di Estetica e Psicanalisi – e della collana Nadie se conoce presso l’editore Press & Archeos.

Una scrittura festiva, gioiosa, estiva, forse solo praticabile con svagata letizia, in quanto, sciogliendo il nesso destinale del fare, delle opere, delle azioni che ci definiscono, si mostra di comica allegrezza, di serena beatitudine, come una musica che sfuma senza mai davvero finire. Una scrittura bianca e quindi pienamente abitabile ed ospitale …

Apparentemente un piccolo libro di racconti, o meglio di cronache, per lo più dedicate all’estate; interpolato da traduzioni e momenti di pensiero. Forse, il tentativo di accostare il mistero della vocazione – tema lungamente corteggiato –, in verità di celebrarlo nel modo della sua mancanza di soluzione, attraverso un altro e più fitto mistero, quello dell’amore. Non tanto per ravvisarvi l’arcano di un’eccitazione emotivamente decisiva – i gesti scomposti degli innamorati – che dia corpo alla narrazione, quanto per cogliervi quella dimensione di festa, spensierata e senza scopi – il fare che non fa niente – che rende la vita vivibile, ricongiungendola alle parole da cui non si distingue; avventurosa perché risolta nella stessa scrittura che la sostiene e alimenta. Opera senza opera, che si fa cancellandosi, per affermare che il sogno dello scrittore – trattenere la vita attraverso segni e lettere, per raccontarla – non è che il sogno felice, e il desiderio soddisfatto, della pagina bianca, esposta al pudore dello sguardo per essere letta in quanto davvero illeggibile.

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