Et in Arcadia Ego. Intervista a Tommaso Lisa

a cura di Myriam Venezia

Il giardino si configura nell’immaginario comune come un luogo in cui il tempo sembra fermarsi. L’immagine, la simbologia del giardino è da sempre un topos letterario. In passato il giardino è stato descritto come un “locus amoenus”, un luogo in cui la realtà è sospesa, circondati dalla rigogliosità della natura; è quello che avviene nel Giardino di Alice, un posto magico che permette al visitatore di catapultarsi in una dimensione quasi aterrena ed entrare in contatto con gli abitanti effettivi di questo luogo. 
Locus Etomologicus, edito da Press&Archeos, è il libro scritto da Tommaso Lisa, filosofo ed entomologo, attraverso il quale potremmo conoscere ed entrare in contatto con la fauna nascosta del giardino di Alice, guidati sapientemente dall’io narrante.
Ma scopriamo cosa si cela dietro queste pagine!


Come nasce l’idea di questo volume? Ma soprattutto, come mai hai deciso di scriverlo in questa particolare “prosa poetica”?
Questo libro è un “instant book”, l’idea di un poema in versi sugli insetti di un giardino la ho dalla mia adolescenza, un topos letterario in cui si dispongano topograficamente allineati come in una teca le aiuole di sonetti, viali di madrigali, boschi di canzoni a selva lo ho sempre desiderato. Poi ho visitato il giardino di Alice, grazie all’associazione Firenze Greenway, della quale faccio parte, mentre stavo rileggendo e studiando contemporaneamente sia “Locus Solus” di Raymond Roussel, Il “Giuoco dell’Oca” di Edoardo Sanguineti e Il “Partito preso delle cose” di Francis Ponge. Allora ho iniziato a scrivere delle poesie che fossero ecfrasi del luogo, degli appunti presi su un foglio o direttamente sul cellulare, mentre passeggiavo per il giardino, gentilmente invitato come visitatore. Si erano schiuse le porte verso questo al di qua. E ho iniziato a scrivere.
Gli appunti sono della primavera del 2023. Il libro lo ho scritto interamente in due mesi tra febbraio e marzo del 2024. L’idea delle “prose in prosa”, sull’esempio dell’antologia di Bortolotti, Broggi, Giovenale e Inglese è venuta dopo, quando ho deciso di sostituirla a quella delle poesie alla maniera di  Sanguineti, che sarebbero state più belle ma più ostiche per il lettore, esaudita la prima spinta creativa, appagata l’idea iniziale, ho iniziato a immaginare un lettore che non sapesse niente di poesia contemporanea e niente di entomologia. Dovevo aprire la scrittura, renderla più referenziale, a costo di qualche banalità, di qualche frase poetica ad effetto.

Il titolo riporta alla mente il concetto di “locus amoenus”, un piccolo angolo di paradiso nascosto tra la frenesia della vita fiorentina, è così che definiresti questo posto? E, in caso contrario, come definiresti questo giardino dopo averlo vissuto in modo così intenso?
Questo libro è “site specific”, è nato solo per il giardino di Alice e ha senso solo qui, è un’ulteriore installazione che sta nel parco. Fuori da questo contesto questo libro perde ogni suo valore. Le radici sono qui. Ciò ovviamente non vuol dire che sia qui fisicamente, dato che il giardino di Alice diventa un luogo della mente, un’astrazione, ma questo giardino, con tutte le sue installazioni bizzarre e bislacche, con tutte le sue astruse assurdità, è determinato, circoscritto e non intercambiabile. Non è metafora di nessun altro giardino, non è intercambiabile. Poi è chiaro che è un luogo della mente, un’astrazione in cui ho vissuto con la fantasia per mesi. Ho immaginato il lettore, che si immedesima in me, che divento un insetto. Una metamorfosi, se vuoi in un certo senso alchemica. Il modello di riferimento è il Locus solus alle porte di Parigi. Ma è diventato anche in sedicesimo il parco della villa di Pratolino. Tutti i cocci, le cornici, ci ho visto l’arpa eolica e la meridiana, gli specchi, un luogo spopolato e ricco di inganni percettivi, di false prospettive, di illusionismi e trucchi di prestigio, dove non c’è nessuno, un idillio in cornice, sono diventati in me questo giardino. Addentrandomi nel quale ho sabotato il percorso stabilito e ho visto con la fantasia, immaginato più di quanto non vi sia in realtà, e anche molto meno, perché se con la fantasia ho preferito immaginare farfalle esotiche, il minuto popolo di collemboli realmente presente avrebbe meritato pagine e pagine.


In questo volume troviamo una presentazione dettagliata di quella che è la fauna, se così possiamo definirla, che abita il giardino. Come nasce la passione per gli insetti e cosa la spinge a studiarli?
In realtà parlo solo di un centesimo degli insetti che si possono trovare veramente nel giardino di Alice, e per ragioni divulgative, didattiche, ho dovuto ricorrere a una descrizione manualistica, baedeckeristica, senza addentrarmi troppo in tecnicismi. Ho cercato un compromesso tra l’abisso della descrizione iperrealistica e la pennellata impressionista. Ho preso le installazioni, le piante e gli insetti come uno stemma, un blasone, e mi sono messo a descrivere la mia esperienza di attraversamento di quel luogo artificiale e al contempo naturale che è il giardino. La mia passione per gli insetti risale a quando avevo cinque anni e mio padre mi portò a una fiera, una mostra intitolata “Tre quarti di terrore” tenutasi al Forte di Belvedere, proprio a due passi dall’EdV Garden. Di fronte ai Lucanidi, alle Morpho brasiliane, ma anche agli scorpioni e alle migali, lì c’è stato l’imprinting, sarebbe potuto accadere per qualunque altra cosa, fossili dinosauri etruschi, ma per caso è accaduto questo. Tutto torna, specie stando sempre fermi nello stesso posto.

Il “locus amoenus” ha diverse accezioni filosofiche, può diventare il non luogo oppure un luogo dove si fondono diversi aspetti dell’animo umano, nel quale si raggiunge una sorta di nirvana e si entra in sintonia con la natura circostante. Per te, cosa rappresenta?
Durante i due mesi di stesura dell’opera, prevalentemente la mattina all’alba, io ero nel mio giardino di Alice, nella proiezione mentale che di quel luogo avevo dentro di me, rivivevo mentalmente l’esperienza di vivere in quel luogo. Era molto accogliente e piacevole vivere nella mappa mentale che mi sono fatto di quel luogo. Ho fatto la mia passeggiata come un esercizio spirituale, come su un’isola o in un monastero, immaginando tutto per filo e per segno, foglia per foglia, ogni petalo e ogni elitra, soppesando ogni parola, scomponendo e ricomponendo le frasi, supportato dalle foto e dagli appunti che avevo preso le due o tre volte che ci sono stato realmente, ma è stato un rifugio. E dal giardino di Alice sognavo sempre di partire e che qualcuno mi invitasse a viaggiare in altri luoghi, nella foresta del Borneo, in Amazzonia, in Tanzania, in tutti quei luoghi esotici, altri, altrove che vagheggiavo da bambino, quando mi appassionai all’entomologia, e dove non sono mai potuto andare. Allora, da questa frustrazione, dalla mancanza e dal desiderio di questo altrove, sono risalito nell’unico luogo dove sono libero di viaggiare come e quando voglia, nella mia fantasia, risalendo agli archetipi che hanno ispirato Alice per le installazioni del giardino, rileggendo “Il Piccolo Principe” e soprattutto “Alice nel Paese delle Meraviglie” e lì ho trovato la chiave di volta con cui far reagire la scrittura. L’altrove è qui nella mia mente, nella mia fantasia. Gli insetti, anime sottili, mi hanno fatto da guida e mi hanno schiuso qui e adesso, nella mia voglia di evadere dal mio mondo circoscritto, dalla rete che recinta il giardino sicuro, verso queste dimensioni altre, avventurose, piccolissime, attraverso stati alterati di coscienza, esperienze allucinate. Tanto che dopo le mie sedute di scrittura tornavo al lavoro, alla vita normale, letteralmente spossato, spostato.  

Con questo libro hai voluto, in un certo senso, riabilitare la figura  degli insetti dando voce e permettendo che entrassero in dialogo con il soggetto del libro?
Questo libro è una specie di totem, una installazione di installazioni. Invece che una macchina celibe fatta di denti, come in “Locus solus”, è costituito di elitre, pigidi, frenuli, scutelli. Emette una sua musica, se fatto sfregare opportunamente. Ha un suo meccanismo, forse casuale, involontario. Combinatorio. Enigmatico ed enigmistico. Non avevo da riabilitare nessuna figura, nessuna scomunica pende sugli insetti, oppure sì, perché volevo stupire lo stereotipo del visitatore borghese, cittadino, che magari ama la natura, gli piacciono i fiori, ama il suo cane, ma gli fanno schifo gli insetti, che è una cosa paradossale. Si può dialogare con gli insetti e spesso è più facile, molto più facile che parlare con gli altri esseri umani: la comunicazione degli insetti ha una retorica codificata, una semiochimica che si può decifrare. Inoltre ogni esemplare, anche all’interno della stessa specie, ha il proprio carattere individuale. Sono mondi lontanissimi ma possiamo parlare, possiamo scambiarci messaggi, come la sonda Voyager lanciata oltre il sistema solare, gli ommatidi dell’occhio composto di un Dittero mi parlano di galassie lontane anni luce, ma mi parlano.


Inoltre, il libro è scritto in prima persona per cercare di abbattere la cosiddetta “quarta parete” con il lettore e fare in modo che si immedesimi, e riesca quasi per osmosi a provare quelle stesse sensazioni?
Sì, esattamente così, vorrei condurre il lettore in un altro mondo, straniante, estraniato dalla società dei consumi, dell’utile a tutti i costi, del significato e del valore di scambio. Una dimensione non alienata dell’esistenza. Come il mimetismo criptico di Caillois, una teoria non del tutto supportata scientificamente ma che trova le sue fondamenta nel concetto di Dépense di Bataille, ecco tanti funambolici dettagli, mirabolanti, flamboyant come i minuti intarsi di certe statue delle cattedrali gotiche poste a metri e metri di altezza, invisibili al pellegrino, eppure fatti per la gloria di dio. Anche se il giardino è un costrutto interamente umano, dove l’uomo dispone a proprio piacimento gli elementi scelti della natura all’interno di una cornice di idillio, ecco che anche qui, anche qui dove tutto è disposto secondo una nostra volontà, lo spettacolo ci trascende, non è solo per noi. Il sole che tramonta su Firenze non è solo per me. Ma per questa moltitudine di brulicanti forme correlate, intrecciate, che dicono che c’è altro, oltre. Un pensare danzando con loro, pur stando da soli.

C’è un che di filosofico all’interno del volume, vorrei che mi spiegassi cosa e quali concetti vorresti che il lettore rintracciasse nel tuo volume.
Quando Alice attraversa lo specchio si chiede che specie di insetto sieda sul treno assieme a lei. Come chiamarlo, come conoscerne le qualità: esso punge o non punge? Così il dialogo prosegue: “Naturalmente essi rispondono ai loro nomi?” osserva con indifferenza la Zanzara. Alice risponde di non averlo mai saputo. “E a che servirebbe aver il nome, e non rispondere?”. “Non serve ad essi, – disse Alice; – ma serve alle persone che li nominano, credo. Se no, perché ogni cosa avrebbe un nome?”. “Non so – rispose la zanzara. – Nel bosco laggiù non ci sono nomi… Ma, su, continua con la lista degli insetti: così perdi il tempo”. Ecco, “Locus entomologicus” parte da qui, sul filo dell’enumerazione caotica di nomi arbitrariamente dati dalla scienza a molteplici e irriducibili forme viventi di invertebrati detti insetti, e delle loro qualità, esteriori e comportamentali, legate all’ambiente, al luogo in cui essi vivono. E, con essi, noi insetti umani, specie Homo sapiens. Il lettore può partire da qui per scoprire una trama di relazioni inedite, non stereotipate, con le quali dare un diverso significato al mondo in cui abita. Dare un nome alle cose, contarle, sono elementi costitutivi profondi del pensiero filosofico. Nasce da qui l’idea di installare nel giardino un “transetto” per l’osservazione e la conta delle farfalle e, tramite il progetto “Unveiling” di Maria Grazia Portera e Leonado Dapporto, cercare di capire come si strutturi e venga indirizzata la percezione estetica delle forme naturali nei progetti di salvaguardia: come si struttura il gusto personale, ciò che spinge a apprezzare o detestare un insetto.

Infine, volevo chiederti, a chi parla questo libro?
Questo libro parla innanzitutto a me stesso, è una scrittura solipsista, una voce che mi suonava dentro e che chiedeva di essere detta, ma certo parla a chi vuole ascoltare gli insetti, al visitatore del giardino che vorrà entrare in questo giardino nel giardino nel giardino, perdendosi nella mise en abyme della descrizione araldica, entomologica. Da parte mia ho fatto tutto il possibile per piegare la “prosa in prosa” altrimenti assai più autoreferenziale, e per semplificare i contenuti entomologici, per aprirlo alla comprensione di qualunque tipo di lettore.

a cura di
Myriam Venezia