Gli anni che stiamo attraversando, quest’opaco inizio di “grande cambiamento” di cui non vedremo mai, nella nostra vita, una compiuta presa di senso…si contraddistinguono in processi tanto emblematici, tanto evidenti nella loro cronicità e così ben intuibili nelle loro enanziodromie, da pensare che ciò che avviene e succede sia, in fondo, sempre o quasi la “stessa storia”. Che si viva, nelle nostre giornate e nei nostri colloqui – ahimè spesso anche in quelli interiori – innumerevoli versioni di un unico, patetico parabolone, un fiabettone presentificato, un fiorettone a sé stessi. Anche se talvolta ci dimeniamo e non vogliamo rientrare in tale evanescente unicità a cui contrapponiamo l’effervescenza dell’eterogeneo. Ma resistiamo sempre meno, “facciam acqua” e direi vino, da tutte le parti…
A pensarci credo che il parabolone abbia sempre e comunque a che vedere con una sorta di dualismo di fondo, improbabile nella sostanza quanto sensibile nella paranoia, tra realtà antica (cioè la realtà) e realtà nuova (cioè, diciamo, il “digitale”…), quasi come se le due entità si giocassero il confronto sullo stesso piano mentre non è così, com’è vero che non esiste nessuna contrapposizione se non nelle nostre menti livellate…perché la prima di queste entità è forte dell’assenza, della passività e della menefreganza di Dio; mentre la seconda è forte dell’incoscienza e della disumanità del Robot. Siamo insomma ancora noi, sospesi tra metafisica e troppofisica, a dare importanza a tutto questo, a percepire il disastro come cambiamento e la perdita di coscienza come possibilità realistica.
Ora, per chi si occupa di libri di storia e quindi di antichità attraverso ciò che si pone già come “antico”, non dovrebbe passare giorno senza un momento di raccoglimento, di presa di lucidità innanzi a queste problematiche; un lavoro di riarrotolamento delle attenzioni dagli investimenti indotti, dalle facili soluzioni e dalle semplici contrapposizioni che pullulano ovunque; in particolare dalle più recenti, quelle pericolosamente ottimistiche.
Venendo a quel che più ci riguarda, una delle svariate versioni della solita parabolona è senz’altro quella della “morte del Libro”, che è stata riproposta spesso qua e là, ed a cui per ovvie ragioni poteva contrapporsi solo l’idea dell’altrettanto pericolosa “immortalità del libro”…
In questa vecchia storia, allineati gli archetipi nel solito cronologismo che è capace, se si rispetta l’ordine, di conferire ad essi elettricità animale, si cominciò a descrivere le proprie azioni come una missione, una lotta a pro del giusto – che non è mai nuovo, o del nuovo – che crea nuove giustezze, assumendo comunque le deficienze dei Peggiori della nostra epoca. Talvolta ci siamo comportati “come politici”, e il Libro è stata la nostra volatile legge, infinitamente dis-emendata. Oltre i soliti bianchi e neri, le mille inquietanti sfumature del bianco: di un foglio vuoto e privo di tracce d’iniziative esistenziali ma con tanti sfregi tracciati drammaticamente da una biro esaurita, solchi di nulla sull’invisibile, ferite incapaci di sanguinare. Un parabolone imploso, estinto nell’istinto in ogni istante.
Infine, il pathos del confronto tra libri di carta e libri elettronici, di cui si è straparlato, schematizzato e semplificato in moltitudini di pagine web, sembra ormai qualcosa di vecchio e inefficace che oltretutto annoia.
Ora il mercato è serenamente scisso, l’immortale ha preso forme on demand, la voglia di carta quella di un crowdfounding e mille altre sfaccettature…mentre le librerie si sono trasformate già per metà in ristoranti o caffè. E meno male che qualcuno si è ricordato pure del vino (le librerie-enoteche, oh Dioniso!).
Oggi possiamo quindi affermare che la fase di quel contraddittorio è esistenzialmente superata, che esso non produce più un sentimento di vitale rivalsa verso niente o nessuno. Certo il digitale prima o poi “vincerà”, ma non è in fondo anche il calore del Sole, tutto sommato, destinato ad esaurirsi? Niente è eterno, lasciateci giocare, sembra dire l’editore – caro amico! – che blatera che «la gente avrà sempre bisogno di feticci materiali».
Ma il problema non sta nell’avere o non avere feticci, quanto nella qualità del feticcio stesso (ce ne sarà sempre uno, etereo o materiale che sia!) e nelle sue possibilità d’applicazione; nella sua versatilità, nella sua capacità di renderci liberi. Libertà che al momento rischia d’esser assai remota.
E difatti siamo già ben oltre, posti innanzi a contenzioni assai più rischiosi per le nostre menti già provate.
Possiamo quindi affermare qualcosa di inquietante: il Libro ha vinto, il Libro non è morto, nel senso che il Libro è già un non-morto.
Forse il cosiddetto libro “digitale” è stato relegato-rimosso in una dimensione parallela da cui, secondo la logica della scissione, tornerà alla ribalta ancora più “tosto”…se vogliamo vederla così. Più probabilmente a noi non importerà niente, perché staremo ancora giocando con il nostro amico zombie: quel libroide espanso che chiameremo nonostante tutto Libro.
Insomma, possiamo annunciare che il Libro per ora non morirà, cosa che aveva fatto sino a ieri, quando moriva e falliva trionfalmente con noi. Quando, come certe cose antropicamente fondate, sacre o artistiche o semplicemente belle esso, con il suo “bilico”, si nutriva della sua stessa morte. Ora quella morte rischia di non esserci più.
Ma a proposito di questa prospettiva, al momento ho solo qualche appunto, rimando il gentile lettore a futuri pensieri.
Nel frattempo, mi ripeto, è sinistro che io debba notare oggi, qui, cosa sta avvenendo: Il libro non morirà, Dio ci scampi di ciò!
Vecchio Pole, tu come la vedi? Ti aspetto in Chianti per risolvere la situazione al solito modo, con il calice e la cinepresa.
LP
E.F. V/6/16.