Dal vitigno al divino. La vitis silvestre e le origini del Sangiovese
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La vite e il vino, come emerge dalle ricerche archeologiche, hanno rappresentato un elemento fondamentale per l’economia delle popolazioni fin dall’epoca preistorica.
Si dice siano stati i Fenici a portare in Italia un clone della vitis vinifera, che in seguito troveremo coltivata dagli Etruschi nelle regioni centro-settentrionali della penisola. L’Italia si dimostrò adattissima alla coltivazione della vite tanto che venne chiamata dai greci Enotria, cioè la terra del vino.
Ma le notizie sul vino in Italia sono precedenti alle scorrerie fenice. L’Eneide ci tramanda che alla fine del XIII sec. a.C. o giù di li, quando Enea sbarcò sulle coste laziali iniziando una guerra con gli abitanti Latini, il re etrusco di Cere, Mezenzio, per aiutare quest’ultimi contro l’eroe troiano pretese la loro intera produzione di vino di un’annata.
Nel territorio etrusco sono stati trovati vinaccioli fossili appartenenti alla vitis silvestris risalenti all’Età del Bronzo e dunque precedenti alle visite fenicie lungo le nostre coste. Ne sono un esempio i resti di semi ritrovati a San Lorenzo a Greve che hanno messo in luce l’elevata antichità della raccolta del frutto della vite selvatica appunto già nella media Età del Bronzo, con l’evidenza, nella fine della stessa era, di una rudimentale produzione vinicola (ne sono indizio i vinaccioli trovati nel sito archeologico di Livorno-Stagno che attesterebbero l’attività di spremitura).
Inoltre, altri vinaccioli derivati dalla silvestris e ritrovati nelle tombe etrusche, risultano abbastanza simili alla cosiddetta vitis vinifera sativa cioè la vite non più selvatica ma coltivata tramite la domesticazione ottenendo grappoli più numerosi e più belli con acini più ricchi di succo.
Questa produzione sarebbe quindi fiorita a livello locale assai prima che gli Etruschi intendessero il vino come merce di scambio e d’importazione, come suggeriscono i ritrovamenti, dal villanoviano evoluto in poi, di corredi di ceramiche (dagli oinochoe ai crateri) adibiti ad un largo consumo.
Nel sito archeologico in località Marmotta, nei pressi di Bracciano, sono stati trovati all’interno delle ceramiche numerosi resti di vinaccioli che hanno fornito un importante contributo all’analisi del DNA e di conseguenza ai loro confronti con altre zone geografiche del Mediterraneo).
Elementi d’interesse si attendono anche dallo studio dei vinaccioli ritrovati nel principale pozzo sacro del sito di Cetamura (Radda in Chianti). In corso di studio sia in senso genetico che morfologico, essi potrebbero dare informazioni ulteriori sulle origini del vino detto Chianti.
Nonostante le convinzioni sulla sua origine autoctona toscana, recenti studi dedicati al Sangiovese, vitigno più importante del Chianti, lo imparentano ad altri vitigni dell’Italia meridionale confermando forse una continuità con il mondo greco e l’oriente. Non esistono però attestazioni di questo vino precedenti al XVI secolo e restano prive di appiglio le tradizioni che legano il suo nome al Sangue di Giove, in riferimento ai Monte Giovi presenti nell’appennino tosco-emiliano, sino a Santarcangelo di Romagna (tutti luoghi, sarà un caso, frequentati dagli Etruschi). Esso si spiegherebbe altresì nella concomitanza del germogliamento della pianta con la con la festa dedicata a San Giovanni.
Al sincretismo Chianti-Etruschi-Giove-Giovanni potremmo aggiungere l’Arcangelo, quel San Michele celebrato sia in Romagna, sia in Toscana (come a Carmignano, caposaldo del Sangiovese e sede di un’importante festa micaelica, e nel Chianti stesso, dove il culto dell’Arcangelo ebbe un successo strabiliante nel medioevo centrale).
Senz’altro, per comprendere il vino degli etruschi c’è non solo da rimettere in discussione l’utilizzo che abitualmente facciamo oggi del vinum, quanto la fattezza stessa della pianta e del suo frutto, sia in senso morfologico sia prettamente gustativo. Tenendo aperta la suggestione di un’origine orientale di parte di quei vitigni che forse giunsero in Etruria con i Rasena, imparentandosi poi con altri, i cui frutti erano già sistematicamente raccolti dai Villanoviani.
(continua)