Che cos’è la fiorendipità? neologismo un po’ ironico, moderatamente paranoico e privo di una base etimologica oggettiva,* la fiorendipità è uno specifico caso di serendipità da cui si è colti mentre si ricerca su un argomento che riguarda il centro storico della propria città, nonché l’idea di cittadinanza che lì ebbe origine.
Durante tale ricerca la molteplicità di stratificazioni e riferimenti storici, artistici, folklorici produrrà continue “scoperte parallele” con apparenti contaminazioni e distrazioni dall’orientamento iniziale. Ma colui che «ha» la fiorendipità riuscirà, con balzi ispirati, a individuare comuni denominatori e mantenere la coerenza della ricerca; a cogliere, far proprie queste scoperte e integrarle in modo utile, corretto o per lo meno poetico.
La fiorendipità “prende” dunque un cittadino (il fiorentino e Firenze ne sono il paradigma) che ricerca sulle sue origini ma nel frattempo compie scoperte impreviste e sorprendenti, incontrando altro e l’Altro; il passato e gli Antichi; il futuro e l’Alieno. Esso rivede sé stesso attraverso le gamme di queste diversità e supera l’impasse sfruttando, intuitivamente, la comunione ontologica tra lithos ed ethos (le pietre degli antichi monumenti e i supposti ideali dei loro originari abitatori).
Credo che fiorendipità sia un concetto aperto e malleabile, emerso per un’esigenza viscerale e tutt’altro che convalidata; la sua utilità sta almeno nel fatto di indurre, chi lo legge o lo scrive, ad interrogazioni riferite alla città ed alla cittadinanza.
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Ad esempio: a proposito dei problemi d’integrazione del passato, del confronto con i suoi rivoli spesso contraddittori e mai risolti, possiamo dire che questo processo, in molti casi e in special modo a Firenze, non avviene sul piano orizzontale del compiacimento e della celebrazione “estasiata”, quanto nel senso verticale di un rapporto conflittuale con la propria Patria. Una relazione tesa da un lato all’esumazione dei rimossi collettivi, dall’altro ad un’impossibile “liberazione” individuale.
La fiorendipità evoca dunque, tra l’altro, la possibilità di ricongiungersi alchemicamente alla propria Storia offrendosi ad essa non come “alfiere” o “custode”, ma come suo potenziale reciproco dannato.
In altre parole, l’essenza recondita del superamento della fiorendipità potrebbe corrispondere ad una reazione “geniale” a qualche tipo di “dannazione” che passa da un rapporto conflittuale con la propria Patria, dalle responsabilità mai sciolte o pienamente adempite nei confronti di essa.
Che vi è in fondo di più italiano, e dantesco, di questo?
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(*se non per il fatto che Serendippo e Fiorenza sono entrambi nomi di luoghi; per il resto, e mi riferisco soprattutto a -dip, si tratta di semplice assonanza)