Il Castello di Frosini in Val di Merse

di L. Pecchioni con una appendice di E. Baccarini.

Il Castello di Frosini, nel territorio di Chiusdino (SI), è un luogo dal fascino composito e avvolgente.
L’interesse nei confronti di questo piccolo borgo non dovrebbe limitarsi al fatto che esso ospitò una Magione dei Cavalieri Templari, ne’ tantomeno alla sua vicinanza con l’Abbazia di San Galgano. Frosini ha una storia ed un fascino specifici – tutt’oggi direttamente esperibili – che dovrebbero essere amplificati ed analizzati in modo peculiare ed inseriti nel giusto contesto storico. Al contrario questo luogo è generalmente ricondotto all’immaginario della Spada nella Roccia e nominato quasi esclusivamente in proposito.

Siamo abituati a interpretare il gesto simbolico della confissione della Spada di Galgano come l'”evento iniziatico” di una nuova “epopea”. Al contempo, potremmo considerarlo come l’atto che pone fine ad una particolare impostazione geopolitica, sovvertendo un ordine ciclico dal ritmo antico e tipicamente feudale. Di quell’epoca, precedente alla nascita dell’Abbazia di San Galgano, Frosini fu uno dei centri di riferimento così come lo furono la potente Abbazia di Serena, le miniere del Castello di Miranduolo e altri luoghi della Val di Merse. Per comprendere Frosini dovremmo probabilmente confrontarci con quella fase storica.

Inoltre, far della presenza dei “misteriosi templari” (apparsi 50 ‘anni dopo Galgano) il dato principale e preminente della storia del Castello, significa esporre la ricerca ad una serie di rischi, data la percezione distorta che abbiamo, a livello di massa e non solo, dei “Poveri Cavalieri”.

Al di la’ dei misteri e delle “contorsioni” della Storia, ciò che si può dire di Frosini è qualcosa di tangibile e forse attuale. Infatti gran parte del fascino di questo castello sarebbe da ricondursi alle ristrutturazioni eseguite nel XVIII sec. dal marchese Leopoldo Feroni di Firenze, che ebbe in eredità la fattoria dall’ultimo commendatario, il cardinale Giuseppe Maria Feroni.

Dunque la vicenda storica di “Fruosini” (il toponimo indica un luogo di passaggio di uccelli migratori) si perde nella notte dei tempi ma continua fino ad epoca recente.

Così, passeggiando per il piccolo borgo, qualsiasi esperto di simboli noterà una serie d’elementi d’interesse: un simbolismo sussurrato e mai palese, i cui elementi appaiono però confusi, o disposti apparentemente in modo gratuito.

Ciò che risalta immediatamente è un registro d’inserzioni di carattere neo-romanico e neo-gotico comparenti sulle facciate degli edifici e su alcuni manufatti. Come le lesene e gli archetti a sesto acuto, realizzati con mattoni o comunque in terracotta, presenti in molte finestre e nel “portino” che dà sulla Val di Merse; o come alcune interessanti sculture che riprendono modalità espressive altomedievali.

Forse, alla luce dell’emersione dei numerosi documenti storici i Marchesi Feroni, o altri dopo di loro, con i propri restauri “cavalcarono” nostalgicamente il fascino del medioevo.

All’interno del borgo troviamo due chiese. Una, che si dice sia dedicata a San Michele Arcangelo, secondo i più farebbe parte dell’antico Spedale templare. L’altra presenta invece una fattura neoclassica e almeno ad un primo sguardo non sembra aver grande interesse per la nostra ricerca.

Innanzi alla chiesa neoclassica, al di la’ di un cancello inscritto tra due semicolonne, troviamo una vasca di forma ottagonale. Sulla fontana centrale, tutt’oggi in funzione, dimora una piccola pigna.

La presenza di questo getto e di altre fontanelle indica probabilmente l’esistenza di una falda acquifera.

La Fontana ottagonale sembra introdurre ad un percorso ulteriore, che tende alle campagne limitrofe.

Anche nei pressi del “portino”, dall’altra parte del Castello, si respirano atmosfere da “giardino all’italiana”. Qui, due piccole rampe di scale conducono ad un livello sottostante articolato in vialetti; essendo tale ambiente una proprietà privata e non avendolo visitato non sono nelle condizioni di descriverlo.

Da questi appunti, oltretutto, è completamente esclusa l’analisi del Cassero, anch’esso di proprietà privata.

Il “portino” (2), consistente in una torretta merlata con ampia apertura a volta, incornicia con il suo sesto acuto la Val di Merse, puntando proprio nella direzione di San Galgano.

Non si capisce quanto, effettivamente, tale costruzione possa essere considerata autentica o piuttosto di fattura “nostalgica”. Nel basamento si notano dei blocchi di pietra di taglio medievale. Nella parte alta, sui merli e sulle pareti, ritornano invece gli stilemi decorativi di cui si è detto e alcune “teste di puntamento” dalla funzione inevasa, per le quali non si può escludere un significato esoterico.

Dietro l’abside della Chiesa romanica, ai margini di un balzo, troviamo ancora delle decorazioni in terracotta, questa volta sul terreno o pavimento. Esse ricalcano la disposizione di alcuni terrazzamenti d’origine più antica che consistono in piccoli filari in pietra. Un muro diroccato è presente infondo al balzo, cui si può accedere attraverso i sentieri che si articolano sugli antichi filari.

Subito sotto l’antico abside, prima del balzo, colpiscono due decorazioni pavimentali ispirate a simbologie solari. Anch’esse, per la fattezza, potrebbero esser state realizzate in tempi recentissimi; ma ancora una volta sembrano ricalcare un tema ed un “discorso” antico. A pensarci, non c’è un evidente motivo logico e/o estetico per il quale debbano stare lì.

Della Chiesetta romanica, ad una prima analisi sembra di poter dire ben poco. Essa appare monolitica, segreta e inviolabile come un forziere. L’interno è perennemente chiuso. Gli anziani del luogo sostengono che viene aperta almeno una volta all’anno; che una signora del luogo ha con sé le chiavi; ma la si vede poco a giro – dice -.

Sul lato destro dell’edifcio, notiamo una serie di restauri murari relativi a diverse epoche. Non lontamo dall’abside spiccano le tracce di un apertura con architrave e arco. Queste porte laterali sono presenti in diversi altri edifici sacri della contigua Vald’elsa e di altre parti della Toscana, edifici che per ragioni diverse vennero ricondotti all’Ordine del Tempio. In certi casi,esse sono dette “Porte de’morti” forse perché relazionate ai cimiteri limitrofi alle chiese. E’ possibile che anche in questo caso esistesse un cimitero. In tal senso, le due decorazioni pavimentali di cui si è detto (non lontane da tali aperture) prenderebbero un senso ulteriore.

Altrove, nelle costruzioni del borgo, osserviamo elementi che in modi diversi potrebbero essere ricondotti ad un simbolismo iniziatico o addirittura neotemplare; persino nel piccolo monumento ai caduti della guerra mondiale; o, addirittura, nella disposizione e nella qualità delle piante e degli alberi più antichi.

Ma vorremmo evitare di perderci in un genere d’analisi che ci compete solo relativamente. E cioè rintracciare il comune denominatore di un percorso iniziatico i cui elementi sarebbero in gran parte confusi o perduti.

Senz’altro, chi ha gestito questo luogo e forse chi lo gestisce tutt’oggi, ha promulgato la qualità del suo fascino. Ad esempio, le coperture in edera o le piante da frutto, pur essendo considerabili estetismi, non negano l’esistenza di un “discorso di fondo” che studiosi competenti potrebbero interpretare seriamente.

Dunque, al di la’ di Galgano e della sua Spada, e al di la’ dell’oscura realtà dei  Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone (i Templari storici), il borgo di Frosini sembra custodire un suo discorso specifico e “brillare di luce propria”.

Essendo la nostra una descrizione limitata e preliminare, saremmo ben felici di ospitare,  qui a seguito, ulteriori considerazioni e critiche (magari dagli abitanti stessi di Frosini…).

Il Fantasma del Brandani
(appendice di Enrico Baccarini)

(…) La storia legata al castello di Frosini nasce dalla presenza nella rocca di strani eventi parapsicologici che videro come principale protagonista, nei decenni passati, l’apparizione di un fantasma trecentesco. La leggenda vorrebbe che tale apparizione fosse legata al morbo oscuro, la peste, che nel XIV secolo colpì il centro Italia seminando morte e desolazione in centinaia di villaggi e comunalità del paese.
Entro  pochi mesi dalla sua apparizione tutti gli abitanti del castello di Frosini e dei suoi borghi limitrofi erano morti del terribile male. Solo Ilario Brandani sembrava riuscire a scampare al morbo, molti dicevano perché fosse un negromante ed un conoscitore di antiche formule per evocare i morti. Molto più razionalmente Brandani, che fu sicuramente avvezzo a discipline negromantiche ed esoteriche, si era rifugiato e rinchiuso all’interno della rocca di Frosini con i cadaveri ed il silenzio come unici compagni. Lontano dal male non poteva venire infettato e per scampare all’inguaribile piaga le leggende vogliono che fosse rimasto chiuso nel castello per anni ed anni. La morte ben presto sopraggiunse, una morte naturale forse dovuta agli stenti  patiti e non dovuta alla peste. Tale tragico evento avrebbe sancito l’inizio della leggenda innalzando la sua memoria ed il suo ricordo nell’alveo della storia.

La leggenda di Brandani costituisce quasi un unicum folclorico nell’intero del territorio nazionale italiano presentandoci la figura di un fantasma quasi alla stregua di un vampiro nonché in grado, con il semplice sguardo, di trasformare i vivi in creature delle tenebre. Insidiatosi nel folclore locale la leggenda narra che colui il quale incautamente fosse venuto a contatto con lo spettro del negromante si sarebbe ritrovato ben presto trasformato in un non morto, o in un morto vivente, ricollegandosi a quelle tradizioni e leggende europee che vedrebbero nell’esistenza di esseri demoniaci e notturni la testimonianza di un potere occulto e demoniaco attorno ai vivi.

La differenziazione attribuita a questo fantasma, ovvero la sua capacità trasformativa verso i vivi, potrebbe essersi originata dagli stessi interessi negromantici che in vita affiancarono il Brandani. Il suo eremitaggio forzato nel castello aggiunse probabilmente quel tocco noir agli eventi che nella cultura popolare furono filtrati per la costruzione del mito.
Coloro che fossero talmente curiosi da ricercare prove nell’antico cimitero si ritroverebbero ben presto a vagare tra povere tombe ormai in rovina, ponendosi la giusta domanda nel ricercare ove fossero stati seppelliti tutti i corpi colpiti dal morbo. Una fossa comune non ancora scoperta si potrebbe dedurre, ma non sono pochi coloro che nel passato ritenevano tali corpi vicini a quelli del Brandani, loro capo e maestro.
Le ripetute chiusure a cui il castello fu sottoposto sia nel XX secolo come in quelli precedenti accreditarono tra gli anziani del posto l’idea che la figura del negromante si aggirasse ancora nelle stanze abbandonate del castello condannando coloro che vi si fossero avventurati ad una morte eterna nel mondo dei vivi.

(tratto da Firenze, esoterismo e mistero)

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1) Per le fonti e le documentazioni archeologiche, consigliamo di visitare il sito archeologiamedievale.unisi.it

2) La definizione è ispirata ad un altra costruzione simile, presente in Chiusdino.