Editoria, nuove Ere, vecchi dubbi

Oggi una buona parte dei lettori di non-fiction (ma non solo) desidera, acquista e legge libri sulla scia della suggestione di un cambiamento, forse epocale, che starebbe per verificarsi. E sembra appunto che un editore per ottenere dei risultati dignitosi debba occuparsi di questo o quel cambiamento.

Che si tratti di un’evoluzione sociale, economica, politica, spirituale o di un catartico mega-complotto-conflitto; di una nuova forma di religione o di una nuova etica del finito; del raggiungimento del punto-di-sincronicità o di una folgorante restaurazione istintuale; insomma di qualsiasi “nuova era” si parli, possiamo dire d’essere nel corso di una sorta di “new-age” – assai più di quando fu maggiormente di moda questo concetto.
E sembra che certi lettori abbiano bisogno d’essere il più possibile esperti del futuro che hanno scelto d’ipotizzare, tra quelli a disposizione, seguendo autori impegnatissimi ed emulandoli attraverso complesse dinamiche (tra cui quelle dell’acquisto).

Ora, nonostante il rispetto che nutro per il lavoro di tanti colleghi, sento la necessità di affermare con forza un fatto semplice: dal futuro, qualunque essa sia, io non m’aspetto – non spero – niente di nuovo. Mi basta un romanzo tra le mani e un calice di vino sul tavolo innanzi. Questi sono gli unici “prodotti” che difficilmente qualcuno potrà togliermi, e che sento che consumerò finché sarò vivo. Ma non solo.
Sono cose sulle quali possiamo ancora scommettere perché diciamolo chiaramente, entrambe restano un mistero, punti di partenza per ogni suggestione possibile. Quindi non c’è nessuna “rinuncia” in quello che dico: niente si sta ripiegando su se stesso se non per espadersi poco dopo in arcipelaghi di possibili. Se poi c’è pure un po’ di buona compagnia…cosa rara di questi tempi…allora sono disposto al naufragio.

E quindi vorrei, come autore e come produttore editoriale, ritrovare la gioia, l’inquietudine e il mistero in ciò che oggi è apparentemente scontato: il tessuto di un enigma “interno” troppo spesso ignorato o rimosso.
Vorrei pubblicare libri che ripartino dall’individuo, dal suo essere e disessere, storico e atemporale, archeologico ed archeosofico, opaco o luminoso che sia, ma senza la  nevrotica necessità di saltar subito là dove lo squallore cronologico torna a imporsi e qualcosa di “troppo reale” attira attenzioni spanate; tanto meno là dove cozzano pianeti tra loro, sprofondano atlantidi, prendono coscienza intelligenze artificiali o nuovi “movimenti” risolvono la situazione…

Lascio quindi il dubbio ontico alla futurologia e tengo stretto il mistero ontologico della degustazione di sé.
Lascio aperto.

E forse sto trovando qualche “autore” e “autrice” buoni per aiutarmi a continuare a farlo, almeno per un po’. E li ringrazio d’aver scelto P&A.

Glu, glu, glu.
Bla, bla, bla.
Ahhh.


Diario della Fine del Libro,

V/17. LP